L’attacco è di quelli fulminanti: ascoltando Against Privacy sembra di entrare in una macchina del tempo e catapultarsi nei magnifici anni ’70. La sensazione dura ancora per le prime note di Mexican Dogs, dove l’immagine di riferimento si fa più chiara, e sono i Led Zeppelin più sperimentali, quelli lontani dai riff suadenti e veloci e più intimisti. Ma poi l’immagine sfuma, perché Mexican Dogs nel suo svolgersi cresce fino a toni epici, che richiamano molto di più il sound anni ’80 o i Pearl Jam di Given to Fly. E già così si ha l’impressione di ascoltare un album esplosivo, ma deve ancora arrivare il martellamento di Something is not Right with Me, la batteria travolgente e dark di Welcome to the Occupation, il blues di piano di Every Valley is not a Lake, o la bellissima melodia di chitarre di Dreams old Men Dreams perché si possa dire questo di Loyalty to Loyalty, e anche di più. Decisamente di più.
I Cold War Kids sono di Fullerton, California. Nathan Willett (voce, pianoforte), Jonnie Russell (chitarra), Matt Maust (basso) e Matt Aveiro (batteria) sono conosciuti al pubblico italiano per il precedente album del 2007, Robbers and Cowards, per l’etichetta indie Dowtown Records, scelta anche per questa seconda pubblicazione. Basta il primo ascolto per capire che le loro influenze si spostano dai “classici” anni ’70 fino a Jeff Buckley, il cui eco è presente nel vocalist insieme a sfumature di Tom Yorke.
Così come è inevitabile rapportarli ai White Stripes, anch’essi ripercussori delle sonorità anni ’70. Ma la differenza è che i Cold War Kids sanno essere più spirituali a volte (oltre alle già citate Mexican Dogs e Dreams old Men Dreams, va ricordata anche Every Man I Fall for, per esempio), o a volte più trasversali e ermetici, come in Avalanche in B, Golden Gate Jumpers, On The Night That My Love Broke Through, in cui si cita esplicitamente Buckley e Tom Waits, autentiche perle blues dell’album, mentre la splendida I’ve Seen Enough si muove tra questa scia e l’altra, quella che si collega ai Zeppelin.
L’album potrebbe essere a questo punto salutato come il disco del decennio, ma la band ha ancora da lanciare un pezzo elettrico, Relief, del tutto a sorpresa a questo punto, e chiudere con la ballata al piano Cryptomnesia. Se alla fine non è l’album del decennio (ma qualcuno si troverà senz’altro a pensarlo) è perché è un disco di citazioni, di contrasti e chiaroscuri, forse troppo difficile e “colto” per essere amato dal grande pubblico, forse troppo seventies per uscire di questi tempi. E tuttavia se i Cold War Kids sono solo al secondo lavoro, davvero vengono i brividi a pensare a cosa possono ancora fare.
E sono brividi di piacere estatico, di quello che solo il rock “classico” sa dare.
Autore: Francesco Postiglione