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Intervista: Giorgio Canali

di Redazione
16 Dicembre 2013
in Interviste
Tempo di lettura: 6 minuti
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Un pacco di Camel morbide, un bicchiere di vino ed un tavolino basso. E, naturalmente, Giorgio Canali. Fa quasi impressione vedere una persona che ha contribuito attivamente, e non solo nel suo periodo da chitarrista dei CCCP/CSI/PGR, a scrivere una pagina della storia della musica italiana, tranquillamente seduto a mani giunte, lo sguardo che corre in ogni direzione, parlare in maniera così disinvolta e amichevole. Banalità, già detti, frasi fatte, non sono nel suo vocabolario.
Tra un “cheers” con vino rosso ed un paio di sigarette, gli abbiamo fatto qualche domanda, evitando quelle che ormai gli vengono poste da anni, andando a scavare, o quantomeno provandoci, nel profondo dell’artista, ma anche dell’uomo.
Ecco ciò che ci siamo detti:
Giorgio, tutti ti chiedono di Ferretti…
Me lo chiedo anche io che fine ha fatto Ferretti… dovevamo vederci venti giorni fa, ma non l’ho più sentito.
No, io non voglio chiederti di lui, voglio sapere invece in che rapporti sei con tutto il resto della band.
Io sono in ottimi rapporti con tutti, cominciando da Giovanni, sul serio. Probabilmente nel mio futuro non ci saranno molte collaborazioni con loro. Non con Massimo, non con Francesco, non con Ginevra, non con Gianni… La lascio aperta con Giovanni perché è quello che mi stimola di più nel gruppo dei miei ex compagni di strada. [ride] Nonostante siamo così diversi, orientati in maniera differente dal punto di vista etico, morale, politico, mentale e corporale.
Lessi una tua dichiarazione in cui dicevi che Ferretti non è cambiato. E’ sempre stato così…
Si, è vero. E’ cambiato pochissimo, è sempre stato reazionario fino in fondo, anche quando era filo-sovietico… ora è filo-ratzingeriano. Non è cambiato, tutto sommato.
Allo stesso modo non ti chiederò di Vasco Brondi, ormai abbiamo sentito tutto su questo argomento. Su quale altro giovane punteresti, al momento?
Siccome vivo distaccato da questo mondo e le cose che vedo, le vedo solo quando sono in giro a suonare, magari noto qualcuno che sta suonando con noi… Mi arrivano un sacco di demo che, in maniera molto “cazzona”, ascolto per un decimo. Ascolto tutto, ma ci metto degli anni. Magari nel momento in cui ascolto un demo dico “Oh ca..o, bello questo”, poi mi informo ed il gruppo è morto da due anni. In merito però ti dico che, dopo aver fatto questa cosa divertente con Vasco, è stato interessante produrre un album di un gruppo senese, intitolato Dondola l’uva. E’ una cosa che mi piace moltissimo, ma è troppo intelligente per il 90% del pubblico italiano. Di fortunati come Vasco Brondi ce ne son pochi. Fare delle cose intelligenti ed essere apprezzati è veramente dura, è la famosa storia di Gianni Morandi, “Uno su mille ce la fa”.
Si nota una rabbia enorme, che emana da ogni tuo brano, anche dai più tranquilli e pacati. Penso tu sia autobiografico nello scrivere ma, di preciso, da dove nasce tutto questo rancore?
La rabbia è l’esplosione dell’impotenza assoluta che hai nei confronti di qualcosa che non ti sta bene, in questo caso di questo mondo. Ribadisco il concetto di essere vecchio e quindi mi ripeto all’infinito, ma è così. Quando ero giovane qualcuno, forse anche io, era convinto che con l’”arte”, con le virgolette molto grosse, e la comunicazione si potesse cambiare in qualche modo il corso degli eventi. E’ stato vero, magari per un po’, ma alla fine per quanto tu possa continuare a comunicare, a scrivere e a creare le tue cose, non cambia un ca..o. Anzi, magari peggiora. Le piccole conquiste che erano state fatte durante gli anni ‘60 e ‘70, ce le stanno rubando tutte. Se non state attenti vi fregano divorzio, aborto e tutto il resto. E probabilmente se ci sarà un referendum su questi argomenti, non andrò nemmeno a votare perché se arriveremo a quel punto vorrà dire che ve lo siete meritati. Vi stanno fregando. Alla fine sfogo con questa rabbia la mia frustrazione per questa cosa che tanto non cambia, che tanto è sempre la stessa. Era così da quando ero piccolo e ora che sono quasi sulla soglia della terza età è ancora la stessa, forse anche peggio.
Inoltre, il secondo motivo che mi spinge ad essere rabbioso è una specie di piccola cura preventiva nei confronti di malattie come cancro e altre che sono spesso endogene. Se uno si reprime si fa venire quelli che vengono chiamati “i brutti mali”. Io mi reprimo, ma ogni tanto sfogo. E’ come strizzare un brufolo verso lo specchio, al limite ti fa un craterino in faccia, ma non è lì a gonfiarsi all’infinito.
Una specie di mitridatizzazione…
Si, ormai sono mitridatizzato dalla sfiga. Tanta sfiga in piccole dosi ed ora le grandi sfighe non mi fanno nulla, capito? [ride]
De Andrè canta De Andrè, cosa ne pensi a riguardo?
Beh, aspetto di vedere i figli di Vasco Rossi e De Gregori che cantano i pezzi dei rispettivi padri, sarà divertentissimo [ride]. E spero di vedere un giorno il figlio di Vasco Brondi che canta i suoi pezzi, ancora più divertente [ride]. Figli miei impossibile… e poi io sono immortale [ride].
Sarai sempre tu che canterai i pezzi di Giorgio Canali. Non è un male! Tornando a noi: sei andato in tour con i Noir Desir, hai vissuto in Francia dopo lo scioglimento dei CCCP. Un aneddoto di quel periodo, qualcosa che non dimenticherai mai?
Sali in un autobus che contiene anche delle cuccette, ci resti 150 giorni. Ogni giorno fai scalo da qualche parte. E’ come fare il giro del mondo in nave o lavorare in una petroliera in mezzo all’oceano. La fortuna erano i compagni di viaggio, i Noir Desir erano la mia famiglia… Mi è capitato in due anni e mezzo di passare al porto, un po’ Parigi ed un po’ Forlì, 30 o 40 giorni in tutto.
C’è un brano a cui ti senti più legato e che reputi ancor più autobiografico degli altri? Se non fossi Giorgio Canali e dovessi decidere un brano per convincere un’etichetta a produrti, quale manderesti?
Sicuramente, dall’ultimo album, Nuvole senza Messico. Anche perché dentro c’è tutta la mia storia musicale e mentale. Ma devo dirti la verità, quando faccio uscire qualcosa di mio e dei Rossofuoco, che svolgono un grosso ruolo decisionale anche in questo, o mi piace tutto o sta fuori dall’album. Ho patito troppe volte nella mia vita, con i CSI e coi PGR, patteggiamenti, mediazioni di gusti musicali… Ci sono, in quegli album, alcuni brani che non avrei mai voluto inserire. Con i Rossofuoco non avviene, quindi tutte le mie cose, uscite sotto questo marchio, mi soddisfano al cento per cento. Non c’è nessun pezzo che mi vergogno di aver scritto o che, ascoltandolo cinque o dieci anni dopo, mi fa venire da pensare “questo era meglio buttarlo nel cesso”. Sono molto selettivo all’inizio.
Un’altra cosa che ho notato, nei tuoi brani, è un attaccamento ai concetti assoluti e ai fenomeni naturali. Una quantità impressionante di termini come “fuoco”, “fulmini”, “tempesta”. Come mai?
Nei prossimi album, invece, sentirai una marea di “porco D.o” che è la cosa più somma che c’è [ride]. Stiamo arrivando in alto!
Molto in alto!
[ride] Si, molto in alto. Gli elementi naturali sono quelli incontrollabili… quando l’acqua dice sul serio, è acqua!
Tra tutti i brani che ho ascoltato, quello che mi ha più incuriosito e colpito, sia per il testo che per la musica è Madame e Monsieur Curie. Volevo chiederti come nasce, cosa ti ricorda, come è venuto fuori. Non sono riuscito a capirlo.
Beh, si. E’ molto sincretico ma anche molto ermetico. Parte con due immagini abbastanza evidenti, ma che sono tali solo per me. Orsi che ballano sul fuoco immaginario. Non so se hai presente come si addestrano gli orsi a ballare…
No, questa mi manca…
Semplicemente, ’sti str.nzi, mettono gli orsi su una piastra rovente, e poi suonano la musica.Questi ad un certo punto iniziano a saltare, perché c’è il ferro incandescente sotto i piedi, così dopo varie prove di questo tipo, sono condizionati a ballare ogni volta che sentono quella musica. I topi che girano dentro le ruote rappresenta, più o meno, lo stesso concetto. Metti un topo in una gabbia, dopo un po’ inizia a girare. Sono riflessi che abbiamo, era una immagine per definire i miei riflessi di quando mi innamoro: mi comporto nella stessa maniera, divento completamente acritico, capace di buttare tutto di me contro il muro perché sento questa sensazione fortissima. Spesso uso questa tecnica, che sarebbe quella di Virginia Woolf, lo stream of consciousness. Tu parti, come viene viene. E arrivi a parlare di qualcosa completamente diversa e a volte non riesci neanche a fare il percorso a ritroso. Non mi drogo, eh! [rido]. A parte l’alcool…
Pensavo addirittura fosse scritta con il cut-up…
No, no, è proprio puro flusso di coscienza. Certe immagini di me, di casa mia. Il vicino che, eternamente, nel momento in cui tu sei lì con la persona a cui tieni, è di la a fare buchi nel muro e tu pensi “ma che ca..o, questo qua è sempre col trapano in mano?”. Oppure la figura venuta dal nulla di questo individuo che sale sul tram e fa lo scherzo di dimenticarsi l’ombra… sono “stronzate”. La questione di Madame e Monsieur Curie, è un piccolo omaggio molto ermetico a Paul Simon che ha scritto un pezzo intitolato Rene e Georgette Magritt con il loro cane dopo la guerra (Rene and Georgette Magritte with Their Dog after the War n.d.a.). Quel titolo lì, lo volevo, ma siccome già era stato fatto l’ho un po’ rubacchiato [ride] e poi ci stava bene con quel finale di archi elettrici, campi elettrici che eccitano delle corde, sovrainciso all’infinito… non dico che sia radioattivo o quasi, ma siamo lì.

Autore: A. Alfredo Capuano
www.giorgiocanali.it

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