Già lo abbiamo scritto in passato, che gli El-ghor sono tra i gruppi rock più solidi emersi a Napoli negli ultimi anni, che hanno ormai le idee chiare su cosa vogliono fare, dopo l’iniziale infatuazione per il post rock – genere presto abbandonato, e che oggi è solo un elemento marginale della loro musica ben più colorata e calda – e salutiamo questo secondo album intitolato Mercì Cucù – atteso seguito di Dada Danzè del 2006 – rassicurati dallo stato di salute di una band che dal vivo si è sempre dimostrata piacevole, estremamente professionale, e mai uguale a se stessa. L’indie rock degli El-ghor ha un suono perfettamente inquadrabile: sbilenco, lowfi in certi tratti quasi viene da pensare che le rgistrazioni sono di bassa laga e invece il risultato è voluto (?). I bassi di Ilaria Scarico su un canale ben in evidenza si alternano a molto lavoro con pedali e manopole, le due chitarre elettriche di Luigi Cozzolino e Luca Martino si stratificano su ritmiche vibranti e tese, pronte a cambiamenti repentini, la batteria di Francesco Simeone invece leggermente ovattata e sullo sfondo, e la novità stavolta è che la band ha deciso di abbandonare del tutto la lingua italiana, scegliendo di cantare solo in francese: scelta originale, che sta infatti destando la curiosità di molta stampa e pubblico, oltre ad aprire prospettive d’esportazione oltralpe per questo disco, e per le esibizioni live che però in questa fase sono troppo poche.
Anche per quest’album, poi, belle ed artistiche sia la copertina che il videoclip del singolo, intitolato ‘Monsieur Paul’: videoclip per la prima volta più professionale dei precedenti, artigianali, eppure molto ben fatti videoclip del passato; Mercì Cucù, che dura 30 minuti, è dunque grossomodo sullo stesso livello del precedente disco di 3 anni fa, che di minuti ne durava 52; la band qua e là condisce la propria musica con synth, flauto, pianoforte, e poi con colori e code funk elettriche, come in ‘J’Arrive à voir/Memoire Aide moi”, che ci piacerebbe tanto trovassero ancor più spazio, e fossero ancor più accentuate e scatenate, a costo anche di rinunciare definitivamente a quel poco di matemetica che ancora c’è nella loro musica: quando gli El-ghor si sbracciano e vanno su di giri, infatti, davvero lasciano a bocca aperta, e dal vivo si vede. Un certo tono cantautorale ed artistico ha sempre fatto bene alla musica della band, che nei momenti più sognanti ricorda i colleghi A Toys Orchestra e Blessed Child Opera. Noi, tra i tre, preferiamo ad ogni modo gli El-ghor.
Autore: Fausto Turi