L’hanno battezzato Reggarbereshe. Fusione di reggae e “arbereshe”, questo sconosciuto. Si tratta della lingua albanese arcaica, l’idioma degli avi stabilitisi in Calabria tanto tempo fa (senza passare dalle carrette del mare). In curriculum spicca la militanza sulle frequenze corsare della calabrese “Radio Epiro” e un’apparizione a Milano di supporto a un certo Manu Chao. Si divertono ad assemblare un reggae nobile, orientaleggiante (“Orbabal”), decorato da “tastierismi evocanti”, trame dub, sax e trombe, che richiamano gli innesti strumentali ricercati di Linton Kwesi Johnson e, a momenti, la didascalica dolcezza di Alpha Blondy.
“Massimo Rispetto” si fa bella di improvvise accelerazioni easy ska, ma gli hanno sciaguratamente rifilato un testo saturo di ovvietà imbarazzanti “massimo rispetto, massimo rispetto…amore fraterno alleluia”, niente più?
Va molto meglio coi testi i lingua “originale”. “Bobit”, “Thuja”, “Sa Kulpra” macinano reggae d’atmosfera, barcamenandosi con mestiere tra sortite in stepper style e rigagnoli di suoni bassi e soffusamente roots. Dieci canzoni in tutto, forti di un sicuro valore aggiunto: una lingua strana, ancestrale, che non ha eguali – non la parlano più neanche gli albanesi d’Albania! – In lingua madre does it better. Originali.
Autore: Sandro Chetta