Fossimo più assidui osservatori di quanto accade a Chicago sullo spartiacque – sempre meno netto – tra (avant) jazz e (post) rock, saremmo a conoscenza delle miriadi di progetti in cui ogni individualità di quella scena è invischiato. Stavolta apriamo una finestra su Jeff Parker, noto ai più come chitarrista nei Tortoise ma titolare anche del progetto Relatives, effettiva entità creatrice di questo (omonimo) album che Jeff ha invece accreditato a sé. Nati come un terzetto nel 1995, con anche Chad Taylor al basso e Chris Lopes alla batteria, i Relatives un paio d’anni fa hanno esteso l’obbligo di freqeunza anche al pianista elettrico Sam Barsheshet dopo il buon esito di una gig con Parker.
Nessi con i Tortoise in “The Relatives” potremmo trovarne quanti vogliamo se fosse questo il nostro obiettivo, tanto più che c’è anche John McEntire al mixer nei soliti Soma studios, ma la “tartaruga” ci risulta utile al più come punto di osservazione di quest’album. Con l’ultimo “It’s All Around You“, nello specifico, McEntire e soci avevano ormai preso il largo dai lidi ormai affollati del post-rock, veleggiando il proprio complesso sound verso una futuribile concezione di lounge-jazz sempre più assimilabile alle vicende dell’Association for the Advancement of Creative Musicians e del nuovo jazz della Windy City.
Ed è una direzione questa che Parker e compagnia mantengono in pieno, spingendosi anzi senza equivoci nella fusion di inizio millennio come se i grandi quintetti di Miles Davis o gli episodi migliori dei Weather Report fossero in grande spolvero anche – soprattutto, visto l’andazzo jazzistico – nei circoli più marginali del sound afro-americano per eccellenza, smussati però di ogni asperità sì da configurarsi come vellutata e intima – fors’anche, in ottica patologica, leziosa – espressione di un sentire sempre attuale nella sua (perenne) innovatività. Per un piccolo jazz-club un concerto dei Relatives potrebbe essere l’evento dell’anno. State in guardia.
Autore: Bob Villani