Musica Componibile. Ovvero musica ad incastro, da montare e smontare a piacimento, frutto di aggiunte e/o sottrazioni a volte casuali, in nuove forme, come i mattoncini Lego, bene una, ma bene anche le altre sviluppabili. Un concetto caro all’iperbolico ensemble tosco-siculo-veneto (di stanza in nessuna di queste 3 regioni, ma a Bologna), che se ne serve per descrivere la propria ambivalente (tanto complessa quanto “bambinesca”) musica, anche con funzioni di riscontro a un contesto – pubblico, critica – sempre più affamato di “etichette” per catalogare, in partizioni dello scibile sonoro, un insieme di ascolti sempre più numerosi.
Tanto caro, ed evidentemente cruciale nel definire anche a se stessi la propria identità, da farci ruotare attorno una conferenza, la “Prima Conferenza sulla Musica Componibile” – sottotitolo di questo nuovo album –, che prende la forma di una miriade di interventi sul tema, tra il serio e il faceto, da parte di altrettanti “colleghi” e non, vestiti, per l’occasione, dei panni di opinionisti e/o luminari improvvisati e incuriositi.
Interventi che vanno a incastrarsi in una fanta-dimensione da “nuovo miracolo italiano musicale”, quale si profila in base agli altri panni, vestiti dagli stessi Mariposa, di alfieri di “Forza Musica” (sì, stesso simoblo-stessi colori di “quell’altro” “Forza…”, nonché titolo di un contemporaneo EP download-only), quindi di nuovi “condottieri”, anche se con evidenti velleità monopolistiche, della scena musicale italiana. E poi ci sono le canzoni, tante, sì da addivenire, per mole di materiale raccolto, alla stesura di un doppio album – a prezzo singolo – che ambisce, anche per le citate connotazioni audiodocumentaristiche, ad essere il “magnum opus” degli indomiti “trovarobe”.
Problematico zoomare qua e là assiduamente come nelle passate occasioni. Così come non agevole è lo stesso sguinzagliare l’orecchio, vuoi per la cascata di suoni-parole da cui si viene inondati, vuoi anche per una certa “novità” nella materia sonora. Forse abituati-coccolati (ed è un errore, data l’implicita poliedricità e propensione alla sorpresa dei Mariposa) alle volute nonsense-fiabesche vagamente mittel-folk degli episodi precedenti, ci sentiamo da un lato confortati dalla porzione “confermativa” di quest’album, dall’altro straniati e vulnerati dalla durezza di alcune tracce più stridenti e “rock-contemporanee”.
Di fatto c’è da rilevare come i Mariposa non abbiano affatto cercato di indurre un ascolto facile, oggi come probabilmente anche ieri. E anche gli ideali interventi di cui sopra, nel fratturare il filo sonoro in tanti segmenti, contribuiscono a rendere meno organico e più frammentato un album già incamminato, causa lunghezza, su tale strada. Ma il geniale marchio Mariposa è tutt’altro che assente, e lo si vede anche dall’attitudine a riutilizzare, in tono ironico, le manifestazioni meno siginificative, epperò ripetitive e penetranti, della quotidianità (ieri il jingle de “il pranzo è servito” di Corrado, oggi la rivisitata cantilena “pentacampeao” dei brasiliani pallonari all’ultimo mundial e l’inicipit di batteria di ‘Sunday Bloody Sunday’ che prende tutt’altre strade, e altro ancora), e da un immaginario che attinge da un ininterrotto stream of consciousness verbale e terminologico e che crea connessioni tra concetti lontanissimi, e quindi nuovi significati.
Conseguenza di tale volontà di condurre a fondo la ricerca di nuove soluzioni, onde perpetuare il divenire del Mariposa-sound, non sono però solo alcune indulgenze verso certi passaggi ostici, forse eccessivi nell’economia di un disco già espressivamente pieno, ma anche brani in grado di aggirare l’ostacolo di un ascolto non di tutto relax (l’iniziale ‘Forza Musica’, ‘Rimpianti a Gas’, definito dagli stessi come “singolo dell’estate sprecato”, ‘Che Caro che è il Casello’, la stralunata e ubriaca ‘Errata Corrige’, e qualcun altro – non pochissimi, e concentrati perlopiù sulla prima metà). E’ una chance grossa quella che i Mariposa hanno deciso di giocarsi, e chiedere il 100% della riuscita sarebbe troppo. E sapere che ne avranno altre, di occasioni – non necessariamente ambiziose come questa – è un segnale che ne vedremo ancora delle belle …
Autore: Roberto Villani