Lorna si spooosa, già ten’ ‘a caaaasa. Scusate, era una botta del Gigi D’Alessio neomelodico (solo che cantava di tale Anna, e non era la Tatangelo). Sentimenti da vicolo o almeno da dropout però se ne rintracciano anche nel nuovo racconto dei fratelli Dardenne, che trattano i propri film come densi reportage dal fronte sociale. Il cinema borghesuccio due camere e cucina dal quale stanno uscendo fuori piano piano Italia e Francia non ha mai toccato il duo belga – versione più impegnata dei genialoidi Cohen americani e meno ingessata dei Taviani nostrani. E dopo i ladri di bambini dell’iridato “L’Enfant” (Palma d’oro) ora è la volta dei matrimoni truccati.
Più che registi, i Durdenne sono caporedattori di un magazine molto speciale, che sbatte in prima pagina storie dalla periferia umana con buona preparazione cronistica. La piacente (de gustibus) Lorna è albanese e, anche se non lo si capisce subito, rappresenta un anello prezioso della catena di false unioni organizzate per ottenere la cittadinanza comunitaria, in questo caso belga. Lei la strappa a Claudy, un tossico, pagato per sposarla. A sua volta, la ragazza dovrà “girarla”, prezzolata, a un russo.
Il quadro è sempre scheletrico, privo fino alla morte di anabolizzanti visivi, la musica è stilisticamente assente. Può ascoltarla giusto Claudy (il bravissimo Jeremie Renier) negli auricolari del lettore cd trangugiando Buscopan manco fosse gateau.
“Lorna” segna una piccola rivoluzione nel formalismo dei Dardenne: la macchina a mano, che nella Youtube-era rischia il manierismo, lascia spesso il passo ad una ripresa più riposata, grazie alla camera molto meno mobile da 35 mm (e non da 16). Finale da brividi. Convince. Premio miglior sceneggiatura al festival di Cannes 2008.
Autore: Alessandro Chetta