Psichicamente instabili, come tutte le nuove generazioni attuali, infetti dal morbo della precarietà sia lavorativa, che psichica, i Mersenne, al loro debutto discografico, esprimono subito con estrema chiarezza, attraverso la musica, quali sono le turbe da cui sono attraversati. L’odioso rumore iniziale di una sveglia, nell’incipit di “Clercks”, subito ci immette nel dormiveglia da inizio giornata dei commessi, immortalati in un omonimo film Usa di una decina di anni fa, per poi proseguire con un lo-fi che progredisce in un rock esplosivo, ma non troppo, a causa di vari stop’n’go. I Mersenne, trio bolognese, formato da Leonardo Borrelli (chitarra e voce), Emiliano Colomasi (basso e voce) e Cristiano Delfino (batteria), dopo la solita gavetta fatta di partecipazioni a festival e di una manciata di demo, oltre ad aver diviso il palco con nomi del calibro di Yuppie Flu, Paolo Benvegnù, Pedro The Lion, e tanti altri, l’anno scorso dopo aver incontrato Giacomo Fiorenza, hanno deciso di dare alle stampe questo esordio. “Stolen dresses” vira essenzialmente verso un indie-pop-rock, molto vicina a ciò che si fa oltreoceano ed in particolare, spesso tornano alla mente i Pixies dei momenti migliori e i Weezer. Riescono ad essere convincenti soprattutto nelle ballate avvolgenti e circolari (“Changing my plans”, “I can’t stop” e “Directions”). In alcuni frangenti si avvicinano molto a Julies’ Haircut (“Show my best”), in altri ai Grandaddy (“Wake up”). Se tutti i gruppi pop suonassero con questa energia e questa sincerità, sarebbe un genero molto più autorevole.
Autore: Vittorio Lannutti