L’ex enfant prodige della musica pop francese, ormai icona nazionale di primo piano, si fa vivo in grande stile in questo finale del 2007, non soltanto perchè in fase di decollo come attore in un film che sta girando con G. Depardieu, ma soprattutto con un nuovo disco che ci permette di constatare, come già nei suoi 5 precedenti, la gran classe di cui Biolay è dotato. E se una parte del suo talento lo “presta” con generosità ai molti artisti francesi che produce o con cui collabora anche in veste di paroliere – soprattutto donne: Coralie Clement, Keren Ann, Valérie Lagrange, Isabelle Boulay, Françoise Hardy… – i suoi lavori solisti sono quelli che offrono il più nitido sguardo sul suo modo di esprimersi, perfettamente in equilibrio tra tradizione cantautorale europea, e modernità pop rock britannica. E se ormai, oltralpe, il cantautore di Villefranche è considerato da tutti l’unico possibile e credibile erede di Serge Gainsbourg, buio, profondo e provocatorio cantautore/attore in grado, in vita, di offrire un modello di svolta all’intera musica popolare francese e forse europea, ecco che Benjamin Biolay ripropone l’irrequietezza e lo stile del grande maestro, slacciandosi al contempo dallo stereotipo di “neoclassico” e tuffandosi corpo ed anima nella modernità sia estetica – BB è un affermato produttore, esperto del suono, dello studio d’incisione, polistrumentista, e sempre più attratto dall’elettronica – che compositiva con il ricorso, per dirne una, a liquidi e complessi inserti jazz che tengono talvolta sospeso il pezzo – i c.d. “bridge” – prima che riparta il ritornello conclusivo. Per spiegare meglio, è come se ‘Trash YèYè’ fosse il disco di un giovane Fabrizio De Andrè, prodotto però da Max Casacci. E poi ci accorgiamo che BB canta, anzi canticchia, quasi parla, spesso, un po’ come Gainsbourg, sempre sulla stessa tonalità, tra un sol ed un fa, senza estensione, ed anzi con voce nasale e svogliata, non imponendo la sua voce ed anzi lasciando spazio, in qusto modo, alle sue arie musicali che risaltano i suoni limpidi di chitarra acustica, pianoforte, archi e fiati, o quelli del rock elettrico con synth e drum machine, che talvolta ammicca alla wave degli Interpol.
Autore: Fausto Turi