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Intervista: Baustelle

di Redazione
16 Dicembre 2013
in Interviste
Tempo di lettura: 7 minuti
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A novembre ormai concluso, e a meno di piacevolissime sorprese di fine anno, possiamo affermare che ‘La Malavita’ dei Baustelle è il miglior disco italiano del 2005. Un anno che per la band ‘cantiere’ di Montepulciano rappresenta una svolta importante ma sopratutto – pur tra cambi di formazione e di etichetta – la conferma e maturazione di uno stile inconfondibile, fatto di rock, elettronica e canzone d’autore, di provocazioni intelligenti e suggestioni cinematografiche. Lo stile Baustelle, insomma. In occasione della data napoletana del tour, abbiamo incontrato Francesco Bianconi, voce maschile e autore di gran parte delle canzoni di questo terzo disco, appena pochi attimi prima dell’esibizione al Duel:Beat.

E’ la seconda volta che suonate a Napoli, considerando l’apparizione al Coca-cola festival…Prima del tour de “La malavita”, però, non avete suonato molto in giro…
E’ vero, è una questione legata all’organizzazione. Suonare al nord e al centro è molto più facile, di solito. Noi vorremmo suonare di più al sud, ci piace e lo preferiamo a certi posti tristi in cui ci esibiamo d’inverno. Speriamo di essere più presenti da queste parti, d’ora in poi.
Il singolo “La guerra è finita” ha un titolo decisamente “liberatorio”, oltre ad essere una citazione di Alain Resnais. C’è un motivo in particolare per cui lo avete scelto? Mi riferisco ai cambiamenti dell’ultimo periodo.
No, “La guerra è finita” è stato il primo pezzo che abbiamo cominciato a provare con la vecchia line-up, quando c’era ancora Fabrizio (Massara, ndi) e non sapevamo ancora con chi avremmo prodotto il disco. E’ una citazione di Resnais, e sei uno dei pochi ad averlo notato, ma anche di Lennon e a parte tutto ci sembrava un buon titolo consolatorio e positivo per una canzone che invece non lo è molto. E’ anche una provocazione, se vuoi.
Il nuovo disco suona molto più accattivante e “radiofonico” dei precedenti, eppure faccio un po’ di fatica a credere che una radio nazionale possa programmare pezzi con un testo così “duro” come ‘Revolver’ o ‘Sergio’. Avete avuto problemi in questo senso?
E’ un problema che abbiamo avuto anche con “La guerra è finita”, e ci ha molto stupito che la Warner abbia scelto come primo singolo una canzone che parla di un suicidio. E’ stata una decisione coraggiosa perché è un pezzo che melodicamente rientra negli standard radiofonici ma ha un testo molto amaro e inizialmente alcuni dei grandi network commerciali si sono rifiutati di mandarla. Poi invece Deejay l’ha passata, c’è stato un po’ di clamore e ora pare che anche Radio105 l’abbia trasmessa.
Com’è maturata la decisione di passare alla Warner? Avete accettato subito o vi siete preoccupati di stabilire delle condizioni?
Ci abbiamo pensato tanto, in verità, anche a causa di questo spauracchio o luogo comune per cui se vai con una grande etichetta sei inevitabilmente imbrigliato e cominci a fare dischi brutti…In realtà, il vero problema è rimanere con i piedi per terra e stare più attenti a gestire i problemi legati a una struttura molto più grande. Noi non abbiamo subìto alcun tipo di influenza sul processo artistico: nessuno della Warner è mai venuto in studio mentre registravamo o facevamo il mix. Abbiamo portato il disco già pronto senza che nessuno dicesse una parola. Inoltre, come ti dicevo prima, sono stati loro a scegliere ‘La guerra è finita’, nonostante i problemi sollevati da alcune radio.
La notizia della defezione di Fabrizio Massara ha gettato nello sconforto molti fan dei Baustelle, che lo ritengono il principale artefice del vostro sound. Eppure basta leggere i credits del nuovo disco per ridimensionare questa impressione. Personalmente, già il soundcheck di stasera, con due nuovi elementi, mi ha molto impressionato. Vogliamo tranquillizzare i fan?
Naturalmente ci è dispiaciuto molto per la decisione di Fabrizio, che ne “La malavita” ha suonato poco rispetto al passato, ma non per questo credo che il nuovo disco suoni meno Baustelle degli altri. Certo, un cambiamento c’è stato ma immagino che ci sarebbe stato anche con Fabrizio in organico.
Quanto ha pesato la produzione artistica di Carlo U. Rossi nel raggiungimento del sound attuale?
Amerigo (Verardi, coproduttore di ‘Sussidiario illustrato della giovinezza’ e de ‘La moda del lento’ ndi) è un nostro amico, con lui abbiamo lavorato “in famiglia”, con tempi più dilatati e senza mai davvero l’impressione di registrare un disco. Adesso, invece, ci siamo ritrovati in studio con una persona che non conoscevamo e che ci ha messo in pista, ci ha seguiti, ed è un’esperienza che ci tornerà utile in futuro.
“Il corvo Joe” è una canzone che avevi scritto inizialmente per Celentano. Mi racconti com’è andata?
Il nostro editore mi aveva detto che Celentano cercava pezzi per il disco nuovo e io ho scritto due canzoni, “Il corvo Joe” e una che si chiamava “Re del rock’n roll”. Poi non se n’è fatto più niente e la prima è stata usata per ‘La malavita’. Sono contento, perché è la mia preferita di tutto il disco, anche se credo che Celentano l’avrebbe cantata molto bene.
Il vostro cinismo, o presunto tale, non sempre viene compreso nella sua componente ironica e dissacrante, cosa che fa pensare più a un vostro quasi conterraneo come Piero Ciampi, che non a Tenco.
Non credo di essere una persona cinica, almeno non del tutto. Certo, a volte mi ritrovo a leggere dei testi che scrivo e in effetti trovo che ci sia un certo cinismo ma per me è sopratutto una tecnica narrativa, forse l’unico modo per riuscire a mantenere un certo distacco con la materia della canzone. Anche l’uso della terza persona è un espediente che permette di guardare le cose da un gradino più alto e questo automaticamente genera un senso di ironia e può anche dare un’impressione di snobismo, che è comunque preferibile, secondo me, all’essere troppo empatico con le cose che racconti. Quando si scrive una canzone sul suicidio, peraltro ispirata a una storia vera, c’è sempre il rischio di cadere nel patetico, nel melodrammatico, e nella degenerazione di tutto ciò, che è la banalità. Io ho cercato di evitare tutto questo senza però mettere uno schermo tra me e la storia.
Molte delle storie che raccontate hanno per protagoniste delle ragazze o delle donne, descritte in diverse fasi della loro vita. Si potrebbe pensare a un’unica donna con tante storie diverse.
Sì, è una possibile interpretazione, ma non ci avevo mai pensato, in verità. Sono semplicemente storie che trovo interessanti, anche perché mi viene più facile scrivere di donne.
L’amore sembra essere il grande assente del nuovo disco, quasi una possibilità preclusa ai personaggi delle canzoni, non alla loro portata. E’ frutto di una scelta precisa?
‘La malavita’ descrive un periodo un po’ pessimista, per noi. Credo che nei testi ci sia molto meno Francesco che parla di sé e molto più i Baustelle che si guardano intorno, e quello che vedono non gli piace affatto. C’è forse un po’ più di politica, nel senso universale e non ideologico del termine, e c’è meno amore, sì.
Meglio, l’amore, quando c’è, c’è più per assenza e per l’impossibilità di raggiungerlo.
Hai recitato un brano da “La vita agra” di Bianciardi al teatro Morlacchi, per “Le città viste dal basso”. Hai altri progetti collaterali ai Baustelle?
Quella di Modena è stata una bella esperienza. Mi hanno invitato i Perturbazione e ci sono andato molto volentieri. Sinceramente, però, non sento il bisogno di progetti paralleli in questo momento. Scrivere un romanzo, girare un film, fare l’attore – sono tutte cose che mi piacerebbe fare, ma non ora…
Scriveresti una colonna sonora?
Con i Baustelle, sì.
Per chi?
E’ difficile, ce ne sono talmente tanti…Sono un fan di Dario Argento, anche se non ho amato particolarmente i suoi ultimi film. Comunque per lui scriverei una colonna sonora. E poi per David Lynch…
La maturità dell’ultimo disco sta anche in una scrittura meno sfacciata, per quanto riguarda i testi. Penso a una canzone de ‘La moda del lento’come ‘Réclame’, ad esempio…
“Réclame” era una canzone molto provocatoria, citare le marche delle sigarette era una cosa molto ironica e sopra le righe, anche se serviva a nascondere e a bilanciare il senso di autodistruzione presente nel pezzo…L’universo de ‘La malavita’ forse è un po’ meno sfacciato. Sentivamo il bisogno di scrivere, come ho detto in un’altra intervista, senza strilloni. E’ un disco un po’ meno “lustrini e moda” dei due precedenti.
E molto meno naif. Tu hai detto che il vostro debutto, ‘Sussidiario illustrato della giovinezza’, suona naif perché in realtà non sapevate suonare. Lo trovo molto onesto da parte tua, anche come posizione nei confronti di un atteggiamento un po’ fastidioso di tante altre band, sopratutto straniere.
Il ‘Sussidiario’ è secondo me un piccolo capolavoro di canzoni che potevano essere registrate e suonate diversamente e che è venuto fuori come una singolare commistione di lo-fi (dovuto a ristrettezze di budget e inesperienza) e tante altre cose: ci sono tantissimi arrangiamenti dietro, che lasciano intravedere universi da superproduzione quasi “bacharachiana”. Molti altri dischi hanno un certo fascino naif legato proprio a questo tipo di limiti. C’è poi tutta un’estetica del lo-fi che invece può essere discussa. Personalmente credo che i Baustelle suonino molto meglio hi-fi.
Per molti dei protagonisti delle vostre canzoni Milano è l’America. Dov’è l’America di Baustelle?
Milano non è proprio come la immaginavo. Mi piace molto ma trovo che sia anche simbolica di un’Italia che non vuole fare l’Italia, anzi, è la città meno italiana d’Italia, e anche una città che vuole rappresentarsi come luogo capace di creare benessere e fermento culturale. L’America dei Baustelle non so dove sia. Non in America, comunque. Posso dirti che in questo momento non mi piace molto vivere qui, preferirei vivere a Parigi, o a Berlino. Ci sono stato di recente, e anche a Londra e le trovo totalmente migliori rispetto alla nostra realtà.
A te piacciono molto gli chansonnier. Hai mai pensato di tradurre le vostre canzoni in francese?
Ti dirò, è una cosa di cui si è parlato alla Warner, anche se solo come idea…Magari si potrebbe fare un “best of” ricantato in francese. Vedremo…
Due settimane prima del lancio ufficiale il vostro disco era già su internet. Come ti trovi a far parte di una realtà discografica che non riesce a stare dietro al mercato?
Naturalmente è una cosa che danneggia la vendita dei dischi e di chi lavora per farli e poi fatica a vivere del proprio lavoro. Trovo che lo scambio gratuito di musica possa aiutare a scegliere e a orientarsi nell’acquisto. Ci sono tantissimi dischi in giro e poco tempo per ascoltarli tutti. Che poi i dischi costino troppo è un fatto. Il sistema tradizionale dell’industria discografica non si può salvare così com’è oggi. Bisognerebbe capire che esistono altri luoghi di diffusione della musica, uno dei quali è internet, e fare in modo di raggiungere anche questi luoghi.
Cosa dobbiamo aspettarci dall’esibizione di stasera?
Uno spettacolo un po’ più potente e semplificato ma sicuramente molto rock…Autore: Rino Cammino
www.baustelle.it

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