I Simpson in 35 millimetri. Che bella invenzione. Una brasserie della risata carnivora. Ti soffermi sui titoli di coda lunghi mezzora e intuisci lo sforzo. Almeno un migliaio i “partecipanti” alla creazione del film, pensato e lambiccato dal primo all’ultimo fotogramma da un’armata di corazzati tecnici mattacchioni. A meno che tquel centinaio di cognomi giappo-cino-coreani che scorrono alla fine non siano l’ennesimo sfottò di Matt Groening e della grande covata di autori che il geniaccio è riuscito ad allevare in oltre vent’anni.
Silverman (regista) e compagnia hanno regalato a fans e neofiti un gioiello che splende ancora di più se paragonato ai film flop dei “concorrenti” Griffin e South Park.
Piuttosto, il lavoro fatto per le prodezze di Homer in cinemascope può paragonarsi per abilità a quello di Miyazaki per il suo Lupin nel Castello di Cagliostro anni 80: in entrambi i casi la freschezza dinamica del breve episodio tv va a stamparsi pari pari sulla pellicola di lunga durata. Opere molto “scritte”, che però non si perdono nei corridoi dell’intreccio narrativo spastico. Cartoni animati uguali a bombe di creatività che si adattano al grande schermo in forma semplice. Ecco, questo aspetto da alcuni è visto anche come un limite. Kyle Smith sul New York Post ha scritto che la riproposizione “scontata” del canovaccio classico del cartoon – Homer combina un guaio e poi tenta di rimediarvi – fa sì che il film non aggiunga nulla all’epopea Simpson (“difficile – chiosa Kyle Smith – che diventi un superclassico”). Non sono d’accordo. Tipico di tante pellicole d’animazione che ripensano un cartoon nato “corto” è affidare una storia più complessa del solito ai protagonisti ma secondo canali scenici consolidati. Avventurarsi in complicazioni sarebbe pericoloso e snaturante, almeno in una prima prova. Col rischio di attirarsi critiche nell’altro senso: dispersivo, noioso, non fa ridere, ecc..
Anche nel lungometraggio anime “Mazinga contro Goldrake” e serial affini non c’è spazio per altro se non i duelli tra i primattori contro i nemici giurati. Stesso discorso per la limpida e ricorsiva trama dei film di Lupin III che, sempre, fiuta il tesoro, s’ingegna per conquistarlo, ci riesce, fugge via. La partecipazione degli adorati comprimari – Boss robot, Venusia, Alcor, oppure, nel caso di Springfield, Barney, Otto o Apu – inevitabilmente si livella e riduce.
Eppoi, la famiglia gialla, riconfermata a pieni voti regina della satira scintillante che non fa mai prigionieri, ha dimostrato di saper reggere tra frizzi, lazzi e colpi di teatro più di un’ora di animazione (e trovate come Spider Pork rimarranno nella leggenda). Assoluta prova di forza del valore dei personaggi. Cosa che mica riesce a tutti i disegni animati. Un esempio? La Disney non ha mai affidato un intero lungometraggio nelle mani di Topolino, protagonista invece di infiniti episodi brevi, proprio perché Mickey Mouse, per la limitatezza di mezzi espressivi, non avrebbe retto una sceneggiatura più estesa e complessa. Homer batte Topolino 1 (ora e mezzo) a zero.
Autore: Alessandro Chetta