“Hereafter”, mezzo passo falso del regista più bravo in circolazione
Clint ci consiglia: guardate la luna e non il dito. Va benissimo. Guardiamo. Il dito è il solito dilemma su cartomanti e veggenti: ci sono o ci fannno? La luna invece è più lontana e panoramica: ci permette di riflettere sui grandi tema del cosmo, primo dei quali è la morte che rivaleggia col (non)senso dell’esistere. Dalla notte dei tempi il tema dell’aldilà fa correre un brivido, a chi più a chi meno. Però in questo contesto contemplativo il sensitivo (Matt Damon) che chiacchiera coi morti come stesse a un tavolino di Mac Donald suona francamente eccessivo. Non è eccessivo invece per l’Eastwood fideistico degli ultimi anni. Fede nella riscossa sportiva (Million dollar baby), fede nel dialogo interrazziale (Gran Torino), fede nei miracoli politico-agonistici (Invictus). Fede, adesso, nell’aldilà. Senza un dio ma con tanta luce e tanti morti vestiti come lo erano al momento della dipartita oppure come immaginiamo possano essere. La traiettoria delle tre storie, ben congegnate (le firma anche il fuoriclasse Guillermo Arriaga), è prevedibilmente sparata verso un luogo unico, Londra. L’ellissi narrativa si chiude sotto il Big Ben, e con essa la tesi dell’oltretomba – esiste – e della foscoliana corrispondenza d’amorosi sensi – ci aiuta a resistere. In “Hereafter” c’è più la grandeur commercialoide di Spielberg, produttore della pellicola, che Eastwood. Steven è sempre ingombrante anche quando non muove un dito. Il succo: un mezzo passo falso del miglior regista in circolazione. Troppo duro col vecchio Clint? Non me ne vogliate, ho visto tutto il film in prima fila a 6 centimetri dallo schermo.
Autore: Alessandro Chetta