Sono passati già alcuni mesi dall’uscita del suo ultimo lavoro “More time”, ma non ci sembra troppo tardivo intervistare Pilot Jazou (al secolo Ugo Di Crescenzo) proprio considerando il fatto che il disco in questione continua a girare con estremo piacere nei nostri stereo: un’ora abbondante di nu-jazz coi fiocchi, un florilegio di melodie soul e fiati canterini per un’idea di elettronica contaminata partoriente grooves sodi e appetitosi!
Ciao Ugo, un paio di mesi fa ho intervistato Dj Pandaj, anche lui come te nato in Campania e poi approdato per lavoro in quel di Milano… Ci racconti il tuo percorso artistico? Milano va davvero considerata la capitale della musica italiana, specie di quella legata alla scena dei club e del djing?
Non direi. Milano può essere il posto giusto in quanto a business, soldi e opportunità di lavoro. Offre poco sul piano del paesaggio e del clima, ma è sicuramente l’unico luogo in Italia dove se vuoi trovi lavoro. Al di là di questo ragionamento generale, Milano soffre degli identici scompensi musicali e discografici che tutta l’Italia presenta oramai da anni: discografia nulla, circuito clubbing provinciale, majors allo sbando. In altre parole a Milano trovi quelle scarse briciole di musica che ci sono in Italia. Voglio essere più chiaro: l’Italia offre pochissimo in campo musicale. Quel poco è spalmato su 2/3 città. Milano è una di queste.
Subito una curiosità, e scusa la mia ignoranza, ma ti posso chiedere cosa vuol dire “totonno”? E’ una voce del dialetto napoletano? Qui nella scaletta del tuo disco leggo tra i titoli “Totonno beat”, ma l’unica altra volta che ho sentito tale termine è stato in un’ottima pizzeria napoletana scovata a Milano, dove la specialità è proprio la pizza “totonna”…
Questa della pizza non l’avevo mai sentita ma penso si tratti di omonimia. “Totonnno” sta per “Antonio”. A Napoli se ti chiami Antonio diventi “Totonno” oppure “Tonino”. Nel nostro caso il brano è un omaggio al nostro batterista Antonio Fusco da Solofra (provincia di Avellino): un inno al suo “beat” e al suo “grooving”.
Presentaci i musicisti e i cantanti che ti hanno affiancato in “More time”: in particolare, come sei entrato in contatto con Sean Martin? Lo ricordo tra i protagonisti del bel disco di Lagash di una decina di anni fa…
Una parte dei musicisti del disco fa parte di una mia piccola “scuderia stabile” che mi accompagna praticamente in tutti i miei diversi progetti discografici: Marcello Testa al contrabbasso e autore anche di tutte le sezioni fiati; Antonio Fusco detto “Totonno” alla batteria; Osvaldo Di Dio alla chitarra, chitarrista eclettico presente anche in Dipper (progetto elettronico pubblicato dalla Real Estate di Chicago); Claudio Guida ai sax (tenore, soprano, baritono) e ai flauti; Michele Benvenuti al trombone e Gianni Sansone alla tromba e al flicorno.
Sul versante cantanti la cosa è più articolata perché quasi ogni brano ha una voce diversa. Da una parte abbiamo le voci femminili jazzy (per le quali nutro un’adorazione atavica): Barbara D’Agostino, Roberta Malerba, Odette di Maio e Elena Colombo. Poi quelle maschili: Patrick Castello e Sean Martin, per l’appunto. L’incontro con Sean è stato grazie a Marcello Testa, entrambi collaborano con i The Dining Rooms di Stefano Ghittoni e Cesare Malfatti. Dai Dining a Pilot il passo è stato breve.
“More time” ha avuto una distribuzione/promozione anche all’estero? Nel caso, quali i riscontri di pubblico e critica al di fuori dei nostri confini?
Il progetto Pilot Jazou, legato all’etichetta Disturbance (marchio della storica Minus Habens Records di Ivan Iusco – www.minushabens.com), ha sempre goduto sin dal primo album di una distribuzione/promozione quasi esclusivamente rivolta all’estero. In Italia qualcosa succede ma è sempre talmente minuscolo e asfittico che preferiamo puntare su territori più attenti a realtà nu-jazz. “Wonderful morning” (il primo disco) fu pubblicato simultaneamente anche in Corea, “More Time” è uscito parallelamente anche in Giappone.
Quanto è difficile per un produttore italiano acquistare credibilità in un genere – quello nu-jazz – che rischia sempre più spesso di suonare inflazionato?
Molto difficile se essere “trandy & cool” diventa una ossessione. Assolutamente marginale se invece ci si continua a considerare dei musicisti che ascoltano, producono e vivono di musica. I generi musicali sono paroline utili forse ai critici o al pubblico per etichettare e orientarsi nel panorama musicale. Non hai idea del numero di generi musicali che ogni settimana vengono fuori. A voler scomodare un grande del passato varrebbe la pena ricordare che Bach è vissuto e ha composto musiche in un momento in cui il barocco era oramai considerato uno stile morto e sepolto, eppure oggi se si parla di musica barocca Bach è l’artista barocco per eccellenza..
La forza del tuo disco sta a mio avviso nel suo calore, al punto che i brani – per quanto rifiniti – sembrano tutti proposti in versione live. Che tipo di lavoro hai effettuato in fase di produzione? Oltre agli strumenti suonati e alle parti vocali hai fatto uso di campionamenti?
La grossa differenza rispetto al primo disco è stata proprio quella di aver deciso di continuare comunque con un approccio elettronico alla produzione, ma servendosi stavolta solo di esecuzioni e contributi audio prodotti in autonomia. In pratica ci siamo auto-campionati. Tutto quello che ascolti (voci comprese) è frutto di sessioni in cui l’idea del brano era appena accennata. Solo successivamente, mettendo insieme tutte le sessioni, i brani hanno preso la forma definitiva del disco. Molti musicisti hanno ascoltato le versioni finali solo quando è uscito il disco.
Quali sono i grandi dischi jazz che fanno parte del tuo patrimonio musicale?
“Head Hunters” di Herbie Hancock, “Kind of blue” di Miles Davis e “All of me” di Billie Holiday.
So che tra le altre cose segui personalmente anche una digital-label specializzata in elettronica, la Total Wipes ( www.totalwipes.com ), puoi dirci qualcosa di più sulle proposte dell’etichetta?
Total Wipes è partita come una community di artisti elettronici ed è poi diventata sia una vera e propria etichetta elettronica che un aggregator musicale (www.totalwipesmusicgroup.com), vale a dire un distributore digitale che rappresenta a sua volta altre etichette digitali. Fondamentalmente è una esperienza nata totalmente nell’era di internet e che quindi ha nel suo DNA tutte le conquiste che il web ha portato. Lavoriamo sostanzialmente come referenti di “settore” , cioè trattiamo solo la musica elettronica (dal downbeat alla techno) e lavoriamo solo con stores a loro volta di settore, come ad esempio Beatport o Juno. In altre parole evitiamo il “web mega polpettone” generalizzato perché pensiamo che presenti esattamente gli stessi problemi che avevano prima i negozi di cd e vinili: un numero di generi e uscite impossibile da contenere in un solo posto e una conseguente assoluta mancanza di approfondimento di generi e sotto-generi. Per non parlare dell’assoluto monopolio che le major cercano di esercitare anche su portali come iTunes. Noi lavoriamo con portali dove non è possibile acquistare spazi o banner, se vali vendi e se vendi hai più spazio. Meritocrazia pura in una catena di montaggio dove dall’ultimo dei miei collaboratori al presidente di Beatport tutti (dico tutti) sono fruitori e producers di musica elettronica.
Progetti da qui alla fine dell’anno?
Sta per uscire un nuovo progetto con Casaluna (del gruppo Minus Habens) chiamato “Ray” di carattere più pop-soul che mi vede affiancato da Marcello Testa, Barbara D’Agostino (che canta tutte le canzoni), Giovanni Calella alle chitarre e Antonio “Totonno” Fusco. Con Pilot Jazou stiamo preparando l’uscita di un 12” su Disturbance, con 3 remixes di “Your Philosphy” , tra cui uno di Soul Patron (Compost Records) e un cd per settembre che conterrà tutti i remixes precedenti (Nicola Conte, Buscemi, Kirk De Giorgio e altri) più una track inedita cantata da Kelli Sae vocalist degli Incognito.Autore: Guido Gambacorta
www.pilotjazou.com