Mentre cerco un varco per entrare “furtivo” in teatro Galleria Toledo illuminata dal giorno loro arrivano alle mie spalle, e subito le porte si spalancano per gli Xiu Xiu: così anch’io vengo risucchiato nel ventre della balena. Miss Caralee è subito sorridente, il signor Stewart invece è più contrito, distante, e purtroppo l’atteggiamento perdurerà durante l’intervista. Vorrei sempre che domande, scalette, risposte, si trasformassero in confronto e dialogo, chiacchierata genuina, un osmosi che oggi non avverrà: allora niente birre sorrisi e pacche sulle spalle, indossiamo l’abito della professionalità e porgiamo alcune domande ad una delle voci più struggenti, tormentate e ardenti della musica contemporanea.
Prima di tutto, on è la prima volta che suonate a Napoli. Avete qualche ricordo in particolare? La prima volta se non sbaglio avete suonato al Teatro Instabile, una realtà piuttosto particolare…
Sì è esatto, è la seconda volta che approdiamo qui, e la prima esperienza è stata esaltante, quel posto, così strano, era davvero magico. Non voglio sembrare falso, ma è stato davvero uno dei luoghi più belli dove abbiamo mai suonato, e uno dei nostri migliori concerti.
(Indico Sara, sempre al mio fianco): Lei c’era, e ne ha conservato un ricordo entusiasmante…
Davvero, incredibile.
In un’intervista che ho letto, definivi il vostro ultimo lavoro, La Foret, come uno degli album più pop che abbiate mai composto, e oltretutto coscientemente…
No, no, dev’esserci uno sbaglio, se ho detto qualcosa del genere mi riferivo a Faboulous Muscles, forse c’è stato un fraintendimento.
(mmmh …): Ooh, okkei, comunque, credi che attraverso questa scelta potrete raggiungere un pubblico più ampio o semplicemente una diversa sensibilità ha ispirato anche un diverso tipo di musica?
(mi guarda con occhi grandi di sorpresa tipo: sicuro che stiamo parlando della stessa cosa?): Beh, io ho sempre scritto musica pop, le nostre canzoni sono pop, il nostro è un gruppo pop, semplicemente spesso questo genere viene associato ad uno stereotipo piuttosto diverso da noi. La nostra musica è scritta per essere ascoltata da più persone possibile, non cerchiamo un target particolare…
(non ho la prontezza di rispondere che con mille etichette che si sono inventati ce ne sarà una che gli calzi meglio di “pop”, e che Andy Warhol pensava più alla signorina Spears che a loro, quindi lascio correre, ma rimarrò amareggiato): Il fatto che vogliate raggiungere un ampio pubblico significa anche che cercate di valutare le sue reazioni a ciò che potreste scrivere?
Certo, dedichiamo un’attenzione particolare al pubblico, ma questo non significa che il nostro lavoro sia anche da lui indirizzato, soprattutto perché se scrivessimo pensando prima alla reazione che non al soggetto di ciò che produciamo, finiremmo per risultare estremamente noiosi.
Dalle tue parole credo quindi che consideriate l’arte, e la musica, come un mezzo per comunicare ed esprimere dei concetti, delle idee, piuttosto che come bastante a se stessa, autoreferenziale…
Oh sì, assolutamente. Non ho mai potuto vedere l’arte che come un canale in cui convogliare idee, altrimenti risulterebbe solo uno sterile esercizio, inutile dal mio punto di vista.
Ci sono quindi dei temi, dei soggetti che prediligi e che possono identificare il tuo lavoro oltre una singola canzone o un singolo disco?
Beh, tutte le nostre canzoni riguardano ciò che ci succede come persone, i nostri rapporti con gli altri, la famiglia, il sesso e la politica, e la relazione che può intercorrere tra questi aspetti diversi. I nostri temi sono presi dal reale, da qualcosa che ci ha colpito…
Quindi soprattutto da esperienze personali?
No, non necessariamente personali, l’importante è che provengano dal reale, che siano cose vere, perché sono le uniche che in fondo ci riguardano.
Posso chiedervi qualche curiosità? I dischi ad esempio, i vinili, siete affascinati da questo vecchio supporto o le migliorie apportare dal progresso, la praticità esercitano su di voi un fascino maggiore?
Beh, ad essere sincero io (Caralee, n.d.a.) non ho mai posseduto un disco o un piatto dove suonarlo, quindi non ho nessun interesse o legame particolare con loro. Certo le migliorie apportate che permettono di ascoltare la musica ovunque sono per me decisamente positive: i nuovi modi di renderla fruibile sono fondamentali, che tutti, attraverso qualunque canale – eccetto che rubandola! – possano ascoltarla è grandioso, a prescindere dal supporto fisico a cui è legata.
Una domanda sul cinema. Leggevo che per pubblicare la copertina di A Promise siete ricorsi ad uno stratagemma usato in un film di Solondz, e lo stesso nome lo sentii per la prima volta in un’intervista alla regista di Me and You; mi date qualche notizia su questo personaggio che negli Stati Uniti viene esaltato da una scena per me intrigante, mentre qui in Italia quasi non viene considerato?
Oh beh, anche negli Stati Uniti Solondz non è così conosciuto: è un regista piuttosto “off”, per farti un esempio mia madre non ha la minima idea di chi sia, ma che tutta una schiera di “cinefili” solitamente apprezza; fa una sorta di film “artistici”, diciamo così. Credo di aver visto tutti i suoi lavori almeno due o tre volte, dando però ogni volta un giudizio diverso, forse legato al mio umore del momento, al mio stato d’animo. A volte bellissimo, a volte quasi banale. Lo trovo comunque molto interessante, c’è un film in particolare, Happiness, che mi è proprio piaciuto.
Va bene, parliamo un po’ di questa sera: sarete sul palco con i Larsen, come vi siete incontrati?
Oh, durante un concerto, loro erano il nostro gruppo spalla…
…e da lì è nata una sorta di amicizia, poi la collaborazione e infine il disco?
Esatto, prima un rapporto umano, poi musicale.
Io sinceramente non li conosco, concedete una piccola anticipazione alla mia curiosità, avete uno stile parallelo, simile?
Non saprei come dire, abbiamo due modi di fare musica molto diversi, potrebbe sembrare quasi opposti, e invece questo accade solo se ascoltati superficialmente, niente più che la prima impressione. In profondità, dove le cose contano davvero, siamo molto simili, molto affini. E’ diventato quindi anche naturale approdare ad un lavoro comune. Ma lo vedrai sul palco, te ne renderai conto.
Fabrizio bussa alla porta e chiama le due figurine per il controllo dei suoni: chiaramente sono già in ritardo. Ci alziamo cercando di non urtarci nello spazio disordinato e angusto del camerino dove ci avevano ospitato, mani si incrociano e si stringono con una sorta di educata cordialità, senza enfasi, i commiati si alternano al benvenuto: salutiamo gli Xiu Xiu che rivedremo stasera e cogliamo l’occasione per carpire qualche informazione ai Larsen, intrigante realtà torinese.
Scusami Fabrizio, purtroppo non ho alcuna notizia su di voi. Che ne dici se cerchiamo di conoscervi un po’ prima del concerto? (la mia sincerità lo lascia sconcertato, ma incassa bene)
Certo, non c’è alcun problema…
Parlavamo con Jamie di come vi siete conosciuti e abbiate deciso di varare questo progetto insieme…
…più che un progetto lo definirei un gruppo vero e proprio: abbiamo scritto insieme i pezzi, abbiamo provato insieme, una vera commistione. Abbiamo realizzato il nostro primo lavoro come XXL sempre con l’idea di essere un’unità. Se avessero avuto bisogno di musicisti avrebbero potuto trovarne moltissimi e molto più vicino a loro, anche per un fattore di comodità. La voglia invece di portare a termine qualcosa di comune ci porta a superare anche le ovvie difficoltà. A dicembre poi inizieremo le registrazioni per un nuovo lavoro, che spero possa vedere la luce verso marzo.
Immagino quindi che internet soprattutto vi abbia aiutato per scambi di materiale durante la composizione…
…no, no. Siamo andati da loro negli Stati Uniti per comporre il disco, quindi il lavoro si è svolto proprio gomito a gomito, eravamo fisicamente vicini.
Tra gli svariati strumenti, ho visto sul palco un violino. Questo presuppone un’esperienza di conservatorio, una formazione classica?
(sorride): E’ una viola. Vorrei comunque dirti di sì, purtroppo però non la suono che da agosto: sono un autodidatta imbarazzato, ma cerco di non badarci. Julia poi (Anthony and the Johnsons, n.d.a.), che suona questo strumento praticamente tutti i giorni da quando aveva sette anni, il che fa parecchio tempo, mi ha detto di fregarmene e andare avanti, cosa che mi ha molto rassicurato. L’importante comunque è riuscire a suonarla “accordandola” alle necessità del gruppo.
La prima volta che vi spingete così a sud?
Sì, anche se una volta abbiamo suonato in Sicilia; era però la nostra unica esperienza in questa parte del paese. Noi comunque prediligiamo luoghi particolari per la nostra musica, i teatri soprattutto, e ci esibiamo molto all’estero. Festival, eventi, per ragioni economiche sarebbe difficile sostenere un lungo tour fuori dal paese, e quindi centriamo delle date particolari per esibirci. E diventano spesso anche un luogo dove incontrare gli amici con cui abbiamo collaborato.
Quindi questa non è la prima esperienza di contaminazione?
Abbiamo intrapreso moltissime collaborazioni, fortunatamente quasi tutte poi sfociate in amicizie veraci. Mi piace molto che oltre alla musica poi con le stesse persone si possa anche condividere una cena…
Qualche nome?
La violoncellista degli Anthony and the Johnsons, poi gli Swan, …Autore: Pierpaolo Livoni
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