Hanno detto di loro che “se fossero nati a Portland sarebbero già famosi”, ma loro si schermiscono e dicono che “considerare un gruppo italiano che canta in inglese come un problema, io sinceramente la trovo una boiata”, e intanto li aspettano in Francia dove saranno in tour a fine febbraio.
Questi quattro ragazzi napoletani fanno un alt country ubriaco, anzi come lo definiscono loro stessi uno Speed Country/Swing Folk Manouche. Senza dubbio sono uno dei gruppi italiani più spendibile sul mercato internazionale, grazie alla voce di Raffaele Giglio e a delle sonorità folk country che si aiutano con l’utilizzo di una quantità sterminata e sempre nuova di suoni e strumenti.
In occasione dell’uscita del loro primo album “Let me be a child” per Materia Principale abbiamo fatto due chiacchiere con loro.
In cosa consiste questo Patto tra gentiluomini?
Signore, oggigiorno essere un Gentiluomo è difficile!!
Ci vuole coraggio… un patto tra due o più “gentiluomini” è un atto assolutamente
romantico, pieno di fratellanza. Quando rompi un patto tra gentiluomini non solo significa che uno dei 2 non lo è e forse non lo è mai stato, ma anche che il messaggio che recepisci è “In futuro evita di considerare gentiluomo qualcuno”.
Il nostro “Patto” o”Agreement” è quello di non dimenticarci che la musica è un privilegio. Siamo, per fortuna, tutti consapevoli di quanto sia davvero dura la vita, e spendere la nostra vita, o una parte di essa, suonando, componendo è davvero una gran bella esperienza.
Fare buona musica, ascoltabile, ingenua, campagnuola nel senso stretto del termine.
Venite da anni di live e ora esce Let me be a Child, come nasce quest’album?
Quest’album è nato molto spontaneamente. L’idea di base è stato il disegno, piccoli schizzi, piccole storie, quasi tutte legate ad un sentimento di evasione dalla confusione cittadina. La salvezza è la Tranquillità, almeno per me, e la Tranquillità io la ritrovo in campagna.
Accanto alla mia casa esistono grandi spazi verdi, paludosi e pieni di verde, zanzare e canneti, ma anche recinti immensi pieni di bufali che ti guardano sospettosi, e tanti odori, ma quanti!! Ci fantastico in questi angoli nascosti, oramai quasi tutti i caseifici qui in zona mi conoscono.
Insomma, il disco, la sua idea, è partito tutto da un disegno di un grande fiore, avevo già delle canzoni, e le ho inserite all’interno dei petali più grandi, nei petali più piccoli invece ho inserito, ho creato apposta, delle canzoncine di breve durata che facessero da incipit a quelle di durata maggiore. Tutto agosto passato nella mia camera, indisturbato, con un 4 piste a cassetta, e ho inciso le idee di base. Partorendo tante cazzate ma anche cose ascoltabili e che, soprattutto, piacevano a me. Una miscellanea di canzoni, difficili da etichettare, ma molto vicine a tutta la musica che ascolto.
Abbiamo studiato tanto con il resto della band, abbiamo dato una rinfrescata a tutto il materiale grezzo che avevo scritto e grazie alla tenacia di Massimo d’Avanzo (il nostro fonico in studio), siamo riusciti a riportare tutto in maniera fedele su nastro, poi Alan Douches ha rifinito il tutto con il suo gusto raffinato. Abbiamo utilizzato solo strumenti acustici, cercando di spalmare le canzoni con un suono il più caldo possibile, il vibrare delle corde, o colpi di tosse accidentali, live, microfoni accesi ovunque, harmonium o basso tuba, gatti in calore e piccole chitarrine.
Per quanto riguarda i live…..non ne abbiamo mai abbastanza. Ci piace suonare e ci prepariamo sempre tanto.
Abbiamo girato in lungo e in largo l’Italia, club piccoli e più grandi, è difficile ovunque. È difficile attirare l’attenzione in uno spettacolo, ma credo che sia molto importante per qualsiasi band l’impatto con un pubblico diverso, che non ti conosce minimamente.
Ti fa crescere, capire se stai imboccando una buona strada o meno! Insomma suonare in giro è essenziale.
È per questo che ci tenete a definirvi Contadini?
Sì, tutti si stanno dimenticando di quanto può essere bella la campagna.
La campagna è un’ alternativa, musicale anche, che in molti stanno riscoprendo!
Io ci sono caduto dentro, e ho trascinato anche il resto della Band.
Loro si sono trovati benissimo, inaspettatamente!!
So…vivete la Campagna, Pic-Nic, raccolta di castagne e asparagi. Mangiate tremende e buone bevute, e sicuramente una buona suonata manouche.
Come definireste la musica che fate?
A me piace dire che facciamo un mix di Speed Country/ Swing Folk Manouche.
Per Speed Country intendo la cadenza country ma il più acida possibile, quasi un Punk Acustico con cavaquinho e Slide.
Per Swing Folk Manouche intendo, invece, le sonorità di Django Reinhardts, il suo modo di portare le ritmiche, ma in chiave più di canzonetta.
E come nascono le vostre canzoni?
Non c’è un metodo!
Io non leggo o scrivo musica, molte volte ho un idea, un personaggio, e associo quel personaggio o idea ad una melodia.
Ad esempio “Cherry the Tighetrope Walker”, e nata pensando ad una situazione circense…quindi andava bene l’Ukulele!!
Ma per dare una sensazione più di Circo ci voleva un suono impreciso, squillante…ecco il Glockenspiel!!.
Poi la storia…e qui ho disegnato tutto.
Una piccola ciliegia su una corda, in alto in un tendone, sicuramente rapita e costretta al lavoro forzato da qualcuno (e si sente questo qualcuno all’inizio della canzone), quindi sofferente, strappata dalla vita quotidiana….può sembrare da matti.
Sai, afferrare una canzone, crearla, è talmente divertente.
Almeno io intendo la musica come una cosa divertente!
Poi porto tutto quello che faccio nella nostra sala e lì vediamo quale arrangiare, molto istintivamente, e qui che si amalgama tutto.
Molte volte i brani, precedentemente registrati sul 4 piste, assumono una forma diversa da quella primordiale, è assolutamente normale, il resto della Band ci mette il suo.
Un amico musicista, parlando di voi mi ha detto: “Se venissero da Portland sarebbero già famosi”. Il problema è che siete italiani. Avete mai sentito sulla vostra pelle questo problema?
Ma no!! Canto in Inglese perchè mi esce più spontaneo. Questa cosa di considerare un gruppo italiano che canta in inglese come un problema, io sinceramente la trovo una boiata. I confini si sono rotti tempo fa! Se prima la musica veniva cantata in inglese prettamente da chi adoperava quella lingua anche nella vita quotidiana, adesso si è smaterializzata questa idea.
La comprensione di un testo da parte di chi ne fruisce è realtiva. Mi piacerebbe interrogare qualcuno, dopo un concerto di Neil Young, e chiedergli: “Precisamente che ha detto? Che ha cantato?”. Quando si ascolta qualcosa, una volta terminato l’ascolto il ricordo che ci rimane è di un unicum, che racchiude il suono delle parole, della musica, di un determinato strumento. Si può captare qualche parola, qualche frase…ma nessuno presta troppa attenzione ai testi e a cosa dicono. Se non in un secondo momento, seduti sul cesso con il libretto in mano e il vocabolario sul bidet, tradurre tutto e a cercare di capire cosa effettivamente volesse dire quella canzone o quel ritornello!
Quindi non avete mai pensato di cantare in italiano?
Molte volte mi esce dalla bocca qualche frase in portoghese più che in italiano, non so perchè, ma l’italiano non mi ispira molto.
Solo le vecchie canzoni, tipo “Parlami d’amore Mariù”, “Mille Lire al mese”, ma non è ancora il momento per queste cose, finiremo a suonare in Russia con Renzo Arbore me lo sento!!
Ad ogni modo fate una musica che, nell’immaginario collettivo, è prettamente americana. Come nasce quest’amore?
Questo amore nasce grazie a tutti i vinili che i miei genitori ed in particolare un mio zio Rock’n’Roll mi hanno lasciato in eredità.
Sono innumerevoli, dai Beatles ai Fleetwood Mac, Nick Lowe, Dylan, Cream, Alan Price, un mare di jazz da Danah Washington a Glen Miller passando per Errol Garner e Chet Baker.
Ma sopratutto tanto blues e swing d’annata. Ogni mattina mio padre, che è sempre il primo a svegliarsi, suona il piano vecchie melodie del Quartetto Cetra, di Duke Ellingtone e con il tempo queste melodie sincere le ho imparate anche io. Quindi in conclusione credo che questa miscellanea di generi è sicuramente il risultato di tutto quello che ho ascoltato e ascolto oggi. Sono un affamato di vinili, ho davvero una malattia…mi cibo di musica quotidianamente. E non necessariamente musica attuale. Mentre il trombettista, Fabio Renzullo, ama molto il vecchio blues, quello scanzonato e scordato, e sopratutto molto jazz e swing. Ivan e Luca, basso e batteria, sono più legati a delle sonorità più attuali come Dinosaur Jr, R.E.M., Melvins, Tad, ma anche Fat Albert Lee, Ray Charles, e mille altri.
Assieme a voi ci sono diversi gruppi campani che stanno pubblicando album interessanti, che ne pensate. Possiamo parlare di una nuova generazione?
Mah! Una nuova generazione dici? Io credo che in questo nuovo panorama napoletano ci siano varie fasce d’età che esprimono in maniera degna i loro gusti musicali.
Sicuramente, e ringraziando il cielo, le “posse” sono finite. Ci sono nuove generazioni che esprimono uno stesso disagio, vivere a Napoli è difficile è c’è chi somatizza questa difficoltà urlando rap violenti o musica ad OTTOBIT, alla new wave, e chi come noi crede in un’attitudine acustica e campagnuola!!
Sono sicuro che lì dove c’è un malessere, sicuramente c’è una forza creativa accattivante e spontanea. Questo sì!
Ultimamente mi piacciono molto i The Once, gli Atari, The Collettivo, ma anche Gnut e le nuove sonorità che hanno adottato i 24 Grana.
Usate, abbiamo capito, una quantità incredibile di strumenti e suoni. Come li gestite nei live?
La scelta di una serie così elevata di strumenti acustici l’affrontiamo in maniera serena e spontanea, sono un eterno ricercatore di nuovi strumenti acustici e ce ne sono a iosa, sono comodi suonano bene ovunque, ma si scordano in continuazione. Ad esempio il cavaquinho noi lo accordiamo in maniera diversa da quella tradizionale e spesso ne subiamo le conseguenze. Queste sonorità sono molto particolari, amabili ma anche una fonte eterna di piccoli problemi. Durante i live abbiamo imparato a risolvere tutto in pochissimo tempo, sappiamo come gestire i nostri amati strumenti.
La gente è incuriosita dal suono garage che diamo all’ukulele, oppure le sonorità surf che diamo utilizzando il glockenspiel come una percussione. Amo il banjo, sia a 4/5 o 6 corde, trasforma tutto. Anche se anni fa comperai un ukulele di bassa fattura e mi ha letteralmente rapito, ha un suono dolcissimo.
Quali sono le vostre influenze musicali?
M.Ward, The Avett Brothers, Bob Dylan (tutto!!), Violent Femmes, Quartetto Cetra, Fleetr Foxes, Neil Young, The Beatles, Rolling Stones, ma sopratutto tutte quelle melodie che contengono un’anima. Non ho mai seguito una moda, non credo che sia buono seguire quello che si porta, è meglio farsi portare da qualcosa che sia lontano anni luce da quello che si ascolta in radio o in tutti i club, basta sentirlo dentro.
Ora una curiosità. Chi è la Blonde Country Girl della canzone?
La Blonde Country Girl è una ragazzina che abita a 15 minuti da me, sorella di un giocatore accanito di vecchi videogames, con la quale divido il mio cuore da un paio di anni…ma nello stesso tempo è anche una ragazza che mi ha calmato, mi ha fatto ragionare, e con la quale puntualmente faccio ritardo. Il testo di questa canzone parla della sua importanza, l’Amore è importante non credi?, ma sopratutto anche di tutte le volte che le prometto di arrivare puntuale, lo prometto, ma inutilmente. Ci casco sempre e sforo di un paio d’ore.
Hiiiiiiiiiiiiiiiiiii
HaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaAutore: Francesco Raiola
www.myspace.com/thegentlemensagreement