“Danny the Dog” è una monnezza di film. Potrebbe portare alla morte per dispiacere persino uno che i vortici e le piroette marziali di Jet Li se le sogna con affetto la notte. Il palinsesto prevede capate in bocca e morsi negli stinchi: sì, è nei patti. Stoccate traforanti al pancreas, frantumazione delle mucose, strascìni intensivi alla Uomo Tigre contro Grande Tigre, frittata di cipolle con vertebre all’acqua pazza, doppio maglio perforante, tuttookkei (e in sottofondo le note croccanti dei Massive Attack).
Si vuole pure godere dei calci a volo nelle palle, e delle gote rosa aurorale stampate sulla faccia tonda e tolemaica di Bob Hoskins. Bob: che la mia infanzia vuole sodale di Roger Rabbit mentre qui fa l’immortale puttaniere esattore. Ma non importa. Non importa neanche che il canecombattente cui presta il musino trafitto Jet Li non abbia background, cioè che abbia una storia alle spalle infinitamente meno complessa di quella di dolce remì (“tua madre era una puttana e ti ha abbandonato quando eri piccolo” dice lo zio Hotkins in vena di falsissime verità a Danny l’animale marziale). E’ anche lecito, con pace dei sensi, comprendere che quando si commettono ottanta pestaggi a sangue e tre quattro omicidi in Scozia – è ambientato in Scozia, sorpresi? – non scattino sanzioni penali, né amministrative. E’ il rigore antisociale del pulp. Sono solo canzonette, pardon fumetti iperanimati da playstation.
Epperò…, non affibbiate una parte a Morgan Freeman in cui fa il cieco per l’ennesima volta buono rassicurante profetico e redentore: la vera violenza, eccola qua. Violentissimo permettere a tre personaggi – Freeman, la moglie bambina e Jet “cane” li – di passeggiare sulle ossa di una sceneggiatura nullificata, da 18 con infamia per qualsiasi corso accademico sulla materia. Personaggi unidimensionali, raffazzonati come in quei film-pacco pensati per essere interrotti al momento buono dagli spot. Ciò che vive in mezzo tra una lite e l’altra non ci interessa: lo spot, il refrain, sono le mazzate. E mazzate siano, ma che non venga sganciato uno scellino di cachet per Morgan Freeman.
Uscire dal cinema con la faccia abbuffata di sganassoni: me li sono dati da solo, pensando a Danny the dog. Me ne sono però conservati una decina, e se incrocio Leterrier e il suo alto mentore Luc Besson per la strada o sul traghetto per Ischia…
Autore: Sandro Chetta