Per chi cazzo esce ‘sto disco?! Quelle sopra elencate, come precisa lo stesso Daniele, sono le etichette “coinvolte”, senz altra specificazione. Bosco Records non è altri che lo stesso D.B. Radon è un’etichetta americana occupatasi già del precedente “Bluviola”, bar La Muerte sappiamo, sulle altre due sigle sono ameba. Disco autoprodotto, in buona sostanza. Ma non confondiamolo con i demo puri e semplici. Lunga è la storia di Brusaschetto, come solista e non. Per me che scrivo, sono al terzo appuntamento con un suo disco.
Difficile riassumere in poche righe l’essenza artistica del Brusa. Quella che può sembrare una condizione di eterno conflitto col mondo esterno (atmosfere ben poco solari, cover art scarne e cripticamente astratte, frequenti immersioni in brutalità chitarristico/rumoriste, generale identificazione con la dimensione “off”) è, in realtà, la facciata esterna dell’intento di porre in essere (ideare-suonare-stampare-diffondere) una musica estremamente personale e priva di compromessi legati alla fruibilità (ok, i due concetti possono coincidere). Volendo ricorrere a immagini, è come se Daniele disponesse di una piastra permenentemente in funzione per catturare ogni attimo dei suoi processi emotivi e cerebrali, una sorta di scatola nera del suo mondo interiore. Donde l’elevata prolificità di progetti (oltre a quello solista), collaborazioni, pubblicazioni, in Italia come all’estero (troppo ridotto il solo ambito nazionale, ma il nostro vanta finanche una manciata di tapes per fanta-etichette bulgare e slovacche!!).
“Poesia…” è un nuovo passo nell’evoluzione di Brusaschetto-solista da esteta dell’estremo (improvvisazionismo industrial-noise, varietà “harsh”) verso una forma di cantautorato in cui l’elaborazione testuale/vocale di temi e impressioni soggettivi (c’è sempre il suo occhio puntato, dentro e fuori) si sovrappone a un tessuto sonoro non più che memore dei cacofonici trascorsi (come in “Bluviola”, solo l’opening track è particolarmente “carica”, laddove più disteso è il clima dei successivi episodi), come se la severità e la durezza del “metallo” venisse raffreddata – ma con ciò temprata – dall’emergere prepotente di elementi intimi, a volte proiezione di immagini anche usualmente “felici” ma che, filtrati dal suo sentire dalla sua voce acerba, assumono una connotazione nostalgico/malinconica, ove non di disagio.
Una conferma tra i migliori, quanto meno per la capacità di rendere veri e condivisibili anche i più personali tra i sogni e le visioni. Chiedete il disco direttamente a lui. Non c’è (ancora) nessuno a distribuirlo.
Autore: Roberto Villani