Con due anni di ritardo arriva in Italia, il secondo album dei finlandesi Boomhauer, in cui la band aggiorna il canzoniere indie. Del resto i numeri parlano chiaro: in 37 minuti, 17 brani dalla durata media di due minuti scarsi, il cui comune denominatore è un’attitudine sciatta e indolente. Dalla sbilenca slide di “Piece of mind” ai malinconici quadretti folk di “Lake Norman” e “Cricket”, passando per l’euforia garage di “Good hunch” e “Hot to handle” e il rock-blues sgraziato di “Load of troubles” e “John”, sfilano gli anti-eroi di ieri (Sebadoh, Guided By Voices) e il disco che tutti ci aspettavamo da Stephen Malkmus l’hanno fatto tre ragazzi finlandesi (!). Fuori tempo massimo? Può darsi. Quando però sarà tempo di revival – e quello arriva per tutti – si dirà che i Boomhauer l’hanno anticipato di almeno cinque anni. Ironia a parte, quest’album ci mette la pulce nell’orecchio: il forte sospetto che un’anonima band scandinava – che ci mette due anni ad arrivare in Italia (ma si sa: le Alpi…) – sia palesemente superiore a una qualsiasi band incensata della nuova scena wave. Questa pulce dice dell’altro, e cioè che il filone sotterraneo dell’indie non si è ancora esaurito, per cui: alle armi! Pale, picconi e continuiamo a scavare.
Autore: Fabio Astore