Non è un caso che i gruppi nostrani si trovino maggiormente a loro agio con la musica strumentale. La conferma arriva dal post-rock e, nella fattispecie, dai toscani Dilatazione che, a dispetto del nome davvero insipido, riescono ad imbastire una preziosa trama sonora. Un velluto di chitarre eteree intrecciate a un drumming versatile e mutevole che favorisce il movimento e invita agli spazi, a una musica di ampio respiro, cinematica, suonata con disinvolta perizia ma anche con grande abbandono emotivo. Certo non saranno i Dilatazione a far svoltare un genere che sembra avere espresso già il meglio: troppo vicini ai Tortoise più emozionali, cui pagano inevitabilmente dazio, evitando però prolissità e saccenterie. Merito anche di Amaury Cambuzat (Ulan Bator, Faust) che, contaminando il lavoro con una produzione accorta e interventi mirati anche al canto (in francese), evita la clonazione. Poi c’è un gesto di automutilazione volontaria del superbo finale in crescendo di “Tutto si dimentica” ed è un segno inequivocabile di temperamento. I grattacieli svettanti di Chicago sono dietro l’angolo dunque, ma s’intravede anche la campagna toscana che tutto il mondo ci invidia: una musa che potrebbe suggerire ai ragazzi una nuova sintesi con il patrimonio della nostra cultura melodica.
Autore: Fabio Astore