Suspiria è la colonna sonora scritta da Thom Yorke per il remake di Luca Guadagnino del classico di Dario Argento Suspiria.
I cinque sensi sono il mezzo per percepire il mondo esterno, direttamente collegati alle sensazioni prima elaborate e poi provate, in mancanza di uno si acuiscono gli altri.
Vi propongo un esperimento, ascoltare il nuovo album Suspiria: immobili, occhi chiusi, bendati, per far sì che l’attenzione sia tutta sull’udito. Il tutto per comprendere il potere suggestivo della musica, quello che ha in un album del genere, che si propaga sul filo della tensione con una successione di molti suoni e poche parole, creando un vortice di sensazioni anche forti.
Il primo brano strumentale A Storm That Took Everything preannuncia con “risate elettroniche” e malefiche un inizio non del tutto semplice, di un album pur angosciante nella sua compiutezza.
Certo, non potevamo aspettarci il carnevale di Rio come colonna sonora di Suspiria. Yorke si supera, divenendo sceneggiatore e maestro dell’horror, se nei suoi spettacoli live una delle caratteristiche è l’utilizzo della visual art, qui il lavoro è talmente raffinato che le immagini sgorgano direttamente dall’inconscio tra archi, sospiri e suoni netti poco definiti che sfumano nel noise.
Sospirium è terza traccia, la più nota. Una danza leggera, come mostra il video stesso, pubblicato sui canali ufficiali, brano dalla struttura tradizionale, del primo album: preannuncia qualcosa di sorprendente e luminoso, ha il retrogusto della pace eterna. La leggerezza ricorda Last Flower ma più positiva, si intende sia una fine serena. Volutamente non conosco la trama del film, quindi non farò spoiler, ma ammetto di aver lasciato correre la fantasia sulle note di questi due album, per immaginarla.
L’album va costantemente a richiamare un diabolico tritono, il synth acuto e penetrante, non sfugge, fa piombare l’ascoltatore in un oscuro medioevo, il contributo della London Contemporary Orchestra rende un tocco etereo, mentre il krautrock caratterizza il tutto.
Has Ended secondo brano in cui percepiamo la voce-fantasma di Yorke, è introdotto da una batteria più cadenzata. Il sound riporta all’album The Eraser e l’aggiunta di qualche sonorità orientale arricchisce la traccia. Archi vibranti anticipano Open Again: chitarra acustica, tamburello e la voce in lontananza di Yorke, pochi lenti accordi che sfumano in un vortice, il rumore di un segnale sconnesso.
Non potevano mancare cori gotici come in Sabbath Incantation, dove ci si addentra in una chiesa sconsacrata. La fusione del noise puro e disturbante unito a semplici note di pianoforte, culminano in Olga’s Destruction, solo strumentale, non servono le parole.
A light Green è una delle tracce più disturbanti, un vortice saltellante di suoni che si interrompono per brevi istanti, il ritmo incostante aumenta e diminuisce senza senso logico il proprio turbinare. Altrettanto disturbante, troviamo Synthesizer Speaks, il nome è già un programma, poco piacevole a tratti agghiacciante.
Unmade è il brano che sorprende, dolce e rassicurante quasi come le prime note di Forbidden Colours di Sakamoto. Il canto malinconico e puro tipico di Yorke, leggero come in Spectre ma meno tormentato, cori angelici accompagnano un brano che sembra fuori contesto per intensità positiva.
La prima traccia del secondo album è Volk, armonici cigolii estremi si propagano fastidiosi, riportando l’atmosfera angosciante. Ricorda le sonorità di Kyle Dixon, tragiche e catastrofiche, come quando il Demogorgone di Stranger Things, si aggirava tra le strade di Hawkins, da brividi. Al termine del brano, una batteria jazz, capace di confondere e fondersi inaspettatamente al contesto.
The Universe is indifferent ha un retrogusto orientaleggiante, misto ad archi d’orchestra, ricorda un canto che sembra provenire dall’antichità, una chicca per gli amanti di The King of Limbs. The Epilogue è un immancabile organo disturbante e acuto che si dissolve nel puro white noise.
L’atmosfera è vitrea, sembra di essere immersi in una grotta di cristallo dove il suono si propaga e si riflette sulle lastre fredde. Album complesso, dettagliato, impegnativo, punge il subconscio. Come un’ipnosi regressiva evoca tutte le angosce e le paure soggettive, un po’ come faceva Saw l’enigmista, ma qui in modo leggermente meno cruento e decisamente più artistico.
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autrice: Noemi Fico