Nei letarghi delle sparizioni, sotto i colpi dell’età e del rock. Lo stesso che si ridesta e senza preavviso, scatta col piano perfetto. Un disco. Dopo un giusto silenzio.
La nemesi del pop iperveloce e iperreale degli anni zero, con l’effetto che restituisce una parvenza meritata di valore. Via dal battage e dal tam-tam, dai falsi cenni e dai cachet, dai misti leggendari , sotto il tiro normale degli attacchi di cuore e i pensieri slegati dai media.
Le maschere a prendere polvere , i dischi immobili, i versi e le pubblicità. Una fantasmagoria non contemplata. Come se questi anni fossero diventati un esercizio di sparizione naturale.
David Bowie è riapparso dal segreto. Era altrove. Fuori legittimamente dal circuito mediale che non conosce pausa.
Il primo segnale è stato un singolo inatteso che richiedeva coordinate. Seguito dal titolo e il dopo. E infine la copertina, tradita da un gioco di riproduzione, richiamo a Berlino e alla storia di Heroes. Sono io e non sono io.
Chiamo fuori e faccio il mio lavoro. Col volto racchiuso dai richiami e dalle cancellazioni. Giocando su un tavolo già visto, ipersaturo, dove le visioni s’intrecciano e affogano l’assenza. Inconcepibile.
Le stelle a vista, finalmente. Il suono è puro equlibrio. La voce medita e volteggia sui fondali profondi. Compaiono i sax.
I testi raccontano di giri altrove, lasciano con cura lo spazio per il resto.
L’ascolto si perde il giusto, con l’assaggio della rivenuta. Non è questione di messia, ma di tempi. Di preparazione. Di altro.
Gli dei del rock avevano altri templi e sono tutti crollati. I nastri e le glorie dei bagordi attirano frotte di stupide mosche sul miele scaduto. Si contano i morti e i relitti. Alberi sempreverde in autunno costante. Niente che albeggi. Troppe note. Troppe volte.
La scelta del ruolo seguiva una logica precisa come un lanciatore di coltelli. Aladdin, Ziggy, la suburbia dell’est, i cani e le stazioni.
L’altro mondo ci ha raggiunti.
Le chitarre sezionano, i bassi gravitano e l’ambiente s’intravede.
La prospettiva evoca bianchi e neri. Marchi, richiami, e canzoni. Valentine. Boss. Dirty boys.
Quel signore dal volto rigido in abito scuro ci guarda seduto a un caffè. Sono le tre di un giorno di notte. Vetri neri e locale deserto. Siamo soli. Ci accomodiamo.
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autore: Alfonso T. Guerritore