Coloro che seguono attentamente le cronache musicali, ricorderanno come negli anni novanta il brit-pop abbia generato, oltre a campioni di vendita (Blur, Oasis) tuttora alla ribalta, fenomeni quali i Suede che tanto fecero parlare se all’epoca. I primi passi della band videro Brett Anderson (voce) e Bernard Butler (chitarra) essere i principali artefici dell’ascesa del ensamble inglese. Tempo due album e Butler abbandonò i compagni. Sia l’uno che gli altri hanno poi continuato separatamente il loro percorso artistico, caratterizzato per entrambi da un lento allontanamento dalla gloria dei grandi numeri di vendita.
Messe da parte le vecchie ruggini, i due adesso si sono ritrovati sotto la sigla The Tears a cercare di rinverdire i fasti di un tempo. Il loro debutto “Here Come The Tears”, forse è meno fascinoso di quello che si poteva attendere ma certo non difetta d’inventiva e contiene una manciata di canzoni che lasciano il segno. Nel corso del tour promozionale che ha anticipato l’uscita del full-lenght, abbiamo chiesto a Brett Anderson le ragioni che lo hanno spinto a tornare in combutta con Butler:
Cominciamo parlando un poco del vostro primo singolo, “Refugees”. Nel testo della canzone affronti il problema dell’immigrazione e degli emarginati in genere. Specie per ciò che concerne gli immigrati, su alcune testate britanniche, hai espresso dei giudizi assai negativi nei confronti di qualche politico inglese che osteggia questo fenomeno….
Prima delle ultime elezioni, alcuni politici di destra hanno cercato di raccogliere voti, incentrando molti dei loro discorsi sul fatto di quanto sia pericolosa l’immigrazione, in particolare quella che avviene dai paesi più poveri della terra. Io nel brano ho cercato di rappresentare il lato “umano” di una persona che suo malgrado si trova a “sopravvivere” letteralmente in un paese straniero, spesso lontano dai suoi cari e dal posto in cui è cresciuto.
Sei contento che Tony Blair sia stato rieletto?Penso che la sua amministrazione abbia commesso un sacco di errori, compresa la guerra all’Iraq e che, in un certo senso, Blair abbia tradito la working-class inglese. Il partito laburista è stato superficiale in molte delle sue decisioni. Ciò nonostante Blair è molto meglio di qualsiasi esponente del partito conservatore. L’ho votato e, probabilmente, lo voterò ancora perchè rimane il male minore in un panorama politico, come quello britannico, assai scadente.
Vari vostri pezzi sono scaricabili a pagamento su I-Tunes. Sei contento dell’evoluzione che sta avendo il downloading musicale? Ritieni che il web sia la soluzione ideale per risanare i conti del business musicale? Credi che stando così le cose, le case discografiche come attualmente le conosciamo, prima o poi, scompariranno?
Non lo so. Se fossi un indovino magari saprei predire il futuro. Sicuramente internet ha comportato una rivoluzione anche nel campo culturale e delle arti. La sua diffusione, di certo, ha cambiato il modo di acquistare e conoscere la musica. E’ possibile che ciò comporti la lenta sparizione dei record-shop e che tutto avvenga on-line. L’unica certezza, in ogni caso, rimarrà la creatività e l’abilità dei singoli artisti nel comporre buona musica.
The Tears è un nome abbastanza melanconico per un gruppo eppure la vostra musica non mi pare che segua un simile feeling…Hai ragione….ma il mondo è un luogo così malinconico. Dal nostro punto di vista il nome The Tears ha più a che fare con le emozioni: possono essere lacrime di gioia o di dolore, dipende dalle situazioni.
Tu e Bernard avete delle personalità musicali molto forti: quanto è stato complicato far partecipare anche gli altri membri della band al processo creativo?
All’inizio tutto è partito da me e Bernard. Pian piano l’unione con il resto del gruppo è migliorata ed abbiamo trovato un punto d’intesa ed un maggior coinvolgimento anche da parte di chi era entrato dopo nella formazione. Adesso abbiamo raggiunto una giusta alchimia tra noi e credo che col prossimo disco ognuno darà il suo contributo più di quanto sia avvenuto con quest’album.
E’ stata una scelta voluta quella di affidare la produzione dell’album al solo Bernard e di aver effettuato gran parte delle registrazioni nella sua casa?
Col senno di poi, avere un giudizio esterno sarebbe stato utile e forse, in futuro, contatteremo qualche produttore per i prossimi lavori. Usare l’appartamento di Bernard come home-studio è stata più che altro una comodità. Interagire con le moderne tecnologie ci ha aiutato ad avere delle registrazioni perfettamente professionali e metà dell’album è stato realizzato proprio così.
Dieci anni fa, una prospettiva del genere, sarebbe stata impensabile. In precedenza parlavamo di quanto l’avvento di internet e dei computer abbia mutato l’approccio degli ascoltatori, di pari passo, l’evoluzione dei programmi e dei pc ha sensibilmente facilitato l’incisione di un disco o di una canzone per un musicista.
Brani come “Fallen Idol” o “Brave New Century” mi sembra che contengano dei riferimenti neanche tanto velati alle tue precedenti esperienze nel music-business…
Quando si compone il testo di una canzone, gli spunti che ti portano al suo concepimento sono quasi sempre disparati e non univoci. In “Fallen Idol”, ad esempio, sono partito pensando in che razza di situazione si è trovato uno come Pete Townshend (il leader degli Who, ndr.) allorché è stato accusato di pedofilia…certo dopo ho analizzato anche le mie personali vicissitudini nel mondo dello spettacolo: nel corso degli anni mi è parso di vivere sulle montagne russe.
La mia carriera è stato un continuo sali e scendi, dove i successi venivano rimpiazzati dai fallimenti e viceversa. Non è facile, a livello emotivo, vivere in uno stato di perenne incertezza. Tuttavia, alla fine, il gioco vale la candela: essere un musicista ti consente di esprimere la tua creatività e di essere pagato per fare il mestiere più bello del mondo.
Tu hai vissuto in prima persona un periodo d’oro della musica inglese degli anni ’90: il cosiddetto “Brit-Pop” (l’epoca in cui sono esplose, a parte i tuoi Suede, band quali Oasis e Blur). Oggi hai la sensazione che in Inghilterra vi siano gruppi altrettanto validi?In Gran Bretagna, fortunatamente, c’è sempre un grosso ricambio generazionale. Bloc Party o i Franz Ferdinand credo che non abbiano nulla da invidiare ai nomi che prima hai citato. Al di fuori dell’Inghilterra, Arcade Fire o Anthony & The Johnsons rappresentano delle realtà musicali estremamente degne d’attenzione.
So che hai in programma di far uscire un tuo album da solista: ci puoi anticipare qualcosa a riguardo?
Il disco è praticamente finito e, a meno di variazioni, dovrebbe essere pubblicato nel 2006. Ci ho lavorato parecchio su e sono contento di come è venuto fuori. Presumo sia un lavoro più intimista rispetto al mio solito. Praticamente non ci sono suoni di chitarra elettrica ma abbondano sezione d’archi, basso, batteria e chitarra acustica.
Dieci e passa anni di carriera hanno cambiato le tue aspettative nei confronti della musica e di ciò che le gira attorno? Che obbiettivi speri di raggiungere con The Tears?Il successo meramente economico mi interessa fino ad un certo punto. Il mio scopo principale rimane l’essere consapevole di progredire come musicista e di essere, soprattutto, fedele alla mia etica di artista. Il resto viene in secondo piano. I The Tears sono nati seguendo questa logica. Mi auguro di realizzare un secondo album con loro, migliore del primo. Se il pubblico sarà dalla nostra parte, non potrò che esserne contento.
Autore: Luca M. Assante
http://www.thetears.org/