Presentato durante la Settimana della Critica nell’ultima edizione del festival del Cinema di Venezia, Villa Touma è un affresco al vetriolo dell’alta borghesia cristiana di Ramallah, le sue contraddizioni e le sue falsità, dipinto sullo sfondo del conflitto israelo- palestinese.
La guerra c’è ma non si vede in Villa Touma, coperta dall’intimo conflitto che affligge la vita delle sue matrone da ormai troppo tempo. La guerra c’entra perchè causa più o meno diretta della cappa di dolore che ammorba la tenuta, trasformandola in una terribile “casa dei fantasmi” in cui sono consumati dolori, afflizioni, istinti repressi, pulsioni. Non vi è pace a Villa Touma, nel cuore di Ramallah, né possibilità di conciliarsi. Il tempo non passa tra le sue mura, scandito da appuntamenti inderogabili, la colazione delle 8.00, la cena delle 20.00, perchè in grado di dare un senso ad esistenze altrimenti vuote.
La regista palestinese Suha Arraf, alla sua prima prova registica con un’opera di fiction (è sceneggiatrice, tra l’altro, del lungometraggio Il giardino di limoni e ha firmato diversi documentari) in Villa Touma dà vita ad un affresco dell’alta borghesia cristiana palestinese probabilmente non veritiero, esagerato com’è nell’affettatezza degli usi, in grado, però, di metterne in scena, sullo sfondo del conflitto israelo-palestinese, le contraddizioni, le falsità, le responsabilità.
“Il mio è un film politico” ha affermato la regista, durante la presentazione del film a Napoli, all’interno della rassegna Venezia a Napoli. Il cinema esteso.
Realizzato con fondi israeliani, che Tel Aviv ora vorrebbe indietro, Villa Touma è una storia che parla all’alta borghesia cristiana palestinese, immobile e tricerata in vani formalismi. “I palestinesi che si vedono al cinema sono vittime oppure eroi, non sono persone come tutti, con i loro lati buoni o cattivi”. In Juliette, Violette e Antoinette, le tre donne protagoniste insieme alla nipote Badia della pellicola, ogni aspetto umano è totalmente soffocato da un’etichetta che non consente al sentimento e alla coscienza di travalicare il limite di ciò che è da loro considerato socialmente accettabile, confinandole così in una sorta di ghetto spazio-temporale dove il tempo si consuma inesorabilmente, lasciando la Storia e gli eventi fuori dai propri vissuti. Le tre donne hanno così superato, intatte, il corso degli eventi, vivendo in un mondo immaginario dove poter ancora fingere, – bardate in eleganti abiti dalle classiche fogge, difese dalle proprie abitudini e convinzioni e armate di qualche francesismo – , di continuare a vivere nella piccola Parigi.
A sconvolgere i vissuti di cartapesta delle tre donne e levare il velo sotto il quale avevano celato le proprie passioni, come in una sorta di frigida clausura collettiva, la giovane Badia. Figlia del compianto fratello, di cui però non è dato conoscere la causa della morte, l’orfanella poco più che diciottenne è consegnata alla cura delle zie. Un dovere assolto dalle donne controvoglia, fatta eccezione per la più giovane di esse, Antoinette, ancora fertile del seme della vita e capace di lasciarsi contaminare dalla realtà. Di nascosto, lontano dagli occhi castranti delle sorelle.
Non basterà la rieducazione di Juliette, la maggiore delle tre, a soffocare la vita che è ancora dentro Badia, la sua necessità di avere un rapporto vero con la Storia e con l’inesorabile scorrere del tempo.
Non basteranno alla giovane le lezioni di francese e di piano, né un guardaroba nuovo, a cancellarne la voglia di libertà e di vita. Non ci sono ancora rimorsi alle sue spalle ma solo la Storia pronta ad abbattersi sulla sua esistenza.
Villa Touma è un melò dalle tinte oscure, magistralmente diretto da Suha Arraf che riesce a portare la tensione emotiva fino al limite di un finale che assume toni cupi, al limite dell’horror.
A dare supporto all’Arraf l’impressionante interpretazione di Nisreen Faour (nei panni di Juliette Touma); Ula Tabari (Violette Touma); Cherien Dabis (Antoinette Touma) e Maria Zreik (Badia Touma). Le quattro riescono a dare vita ad un quadrilatero emotivo in cui sebbene a dominare siano il rimorso e l’amarezza c’è spazio, grazie ai personaggi di Antoinette e Badia, a virate di leggerezza e vitalità.
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autore: Michela Aprea