Il concerto è appena finito, gronda ancora sudore dal palco mentre i tecnici raccolgono strumenti e arrotolano cavi. Il retro, backstage suona pomposo per una rete di metallo che circonda un container da terremotati, è ben sorvegliato da un mastino che non ricorda il mio nome e non vuole ascoltare spiegazioni uguali a quelle della quindicenne che ho a fianco: insomma, a malincuore ci dirigiamo al bar per sfogarci del mio taccuino intonso. Ci sono i suoi occhi che assorbono ogni delusione. Ma, luogo magico, proprio qui incontriamo il mio uomo che si negava al cellulare, strette di mano sorrisi impressioni, e una bella spinta oltre la rete: neanche mi accorgo di essere a un metro dal signor Jaz Coleman, tutto avvolto dalla nube del Montecristo e dalla tesa del suo cappello australiano. Una stretta di mano calorosa e un largo sorriso sono la migliore accoglienza del mondo, ci sediamo su delle strette panche e iniziamo questa chiacchierata senza convenevoli, in tono amichevole; a davanti a me il frontman dei Killing Joke, band seminale dell’industrial-metal, artista che vent’anni prima ha infuocato le danze-tecno-tribali di gruppi come NIN e di certa scena dark new wave mondiale.
Signor Coleman…
Chiamami Jaz (Mi aspettavo sputi e insulti e sto parlando con la cordialità in persona)
Innanzitutto complimenti per il concerto, avete ancora un impatto strepitoso sul pubblico (per tutto il tempo ha fatto la seconda voce, il pugno sempre alzato e i piedi mai fermi, e poi qualche lusinga non guasta mai)
Beh, vedi, i Killing Joke sono la mia parte più fisica, che sfrutto per liberare le emozioni prettamente corporee: sono immediatezza, urla, sensazioni, non c’è introspezione: ogni concerto è quasi una catarsi, penso sarei impazzito senza i Killing Joke, senza la possibilità di sfogare il mio lato più selvaggio, definiamolo così… (altro largo sorriso)
Avete suonato molti brani dall’ultimo album: siete sempre molto convinti del vostro lavoro?
Certo, se non ci credessimo non staremmo davanti al nostro pubblico a suonare.
Non rinunciate nemmeno ai vostri pezzi più famosi…
Ci sono dei brani che oramai fanno parte di noi, a cui siamo estremamente legati. Love like blood, ad esempio, l’abbiamo suonata l’ultima volta a Londra dopo la morte del padre di Geordie. Alcuni brani si legano a momenti importanti della nostra vita, e non possiamo dimenticarli come non possiamo dimenticare la nostra vita.
Prima parlavi dei KJ come di una sfaccettatura della tua forma artistica. C’è quindi anche una parte più calma e riflessiva, ragionevole?
Oh sì, sicuro. I KJ sono solo un lato della mia personalità artistica, importantissimo certo, soprattutto perché è grazie a questo progetto che ho potuto poi intraprendere gli altri e raggiungere una sorta di completezza…
Avevo letto qualcosa a proposito della filarmonica di Praga…–
Esatto, esatto. Praga è una delle città in cui vivo, l’adoro, c’è un’atmosfera fondamentale per la mia vita. Ho diretto due volte l’orchestra della città, e ora sto ultimando un altro mio progetto, ho scritto un’opera lirica e mi stanno aiutando a tradurre il testo in italiano, l’unica lingua per l’opera, l’inglese o li tedesco non posseggono la minima musicalità per questo genere di musica, la vostra lingua invece è perfetta, romantica e sinuosa…
C’è Wagner però, ad esempio…
Wagner, sì, musicalmente straordinario, ma i testi sono un orrore. Assolutamente non cambio la mia idea. Comunque, ci sono questi altri progetti, non potrei legarmi completamente ai KJ, abbiamo bisogno di dividerci a volte, per poi ritrovarci con nuova voglia di creare e di sfogarci: è un canale attraverso cui possiamo urlare tutto quello che secondo noi non va nel mondo, e direi che purtroppo c’è molto materiale su cui lavorare
Per esempio…
Guarda solo a come stiamo trattando il nostro pianeta, continuiamo ad iniettargli merda sperando che l’assorba tutta e la tolga dalla nostra vista, e non ci accorgiamo che ci piove invece sulla testa. E’ una cosa così elementare ma nessuno sembra capirlo che tutto quello che stiamo facendo alla natura lo facciamo in realtà a noi stessi. Tra poco neanche i cibi avranno più sapore, i pesci non si potranno mangiare perché l’acqua in cui vivranno sarà talmente inquinata da impedircelo. Ho un’idea matrocentrica della creazione, e guardo alla natura come genitrice dell’umanità; mi sembra che questa visione potrebbe aiutarci a vivere in modo migliore rispetto a qualunque altra religione.
Sì, lo scenario è piuttosto inquietante al momento. Come mai quindi Praga e non un luogo più vicino alla natura per vivere?
Praga, come ti ho detto, è metà della mia vita: il resto del tempo lo passo in una piccola isola della Nuova Zelanda, ci sono in tutto ottanta abitanti e un solo poliziotto (Strizza l’occhio e sorride, ricambio): ho una sorta di fattoria dove lavoro la terra e coltivo gran parte di quello che mangio, così i miei figli possono sapere davvero qual è il gusto di una patata o di un pomodoro, cercando di sfruttare l’ambiente senza distruggerlo: deve instaurarsi un rapporto reciproco, non può essere una semplice colonizzazione.
Perché la Nuova Zelanda?
Per me rappresenta un posto magico, come Praga, un luogo dove mi sento straordinariamente bene, non saprei nemmeno io spiegarlo esattamente: la prima volta mi capitò quand’ero bambino, con i miei genitori visitammo la Spagna e di fronte alla Madonna Nera di Montserrat per la prima volta percepii questa sensazione. Poi ho sempre cercato di inseguire questi posti, se potevo addirittura viverci. Mi aiutavano a vedere le cose con estrema chiarezza, a prendere le mie decisioni cercando sempre di inseguire ciò che volevo fare, senza mentirmi. Quel poco che ho raggiunto è solo grazie alla perseveranza e alla sincerità con me stesso. Tutti dovrebbero avere dei luoghi magici, dove correre quando si sentono in difficoltà, oppressi dalla vita, per distanziarsi dalle cose e guardarle dalla migliore angolazione, per decidere con serenità. Tu ce l’hai un luogo così?
(Sono colto alla sprovvista, IO di solito faccio le domande: penso a Napoli, ma lo tengo per me) Beh, sì, c’è un luogo così.
E un obiettivo ce l’hai? Qualsiasi cosa…
(Ancora?) Sì, ci sarebbe anche un obiettivo…
Allora non tradirlo mai, e se stai per farlo corri nel tuo luogo magico a ritrovare le forze e le motivazioni.
Sembra una favola, i suoi lineamenti sono dolci e distesi, anche sul palco tutto il cerone non riusciva a nascondere la bontà del volto, con un’espressione da attore del muto, e l’intervista scivola lentamente nei consigli amichevoli: non mi era mai successo Fa tintinnare il bicchiere perché gli portino ancora da bere, poi ci guarda e chiede se vogliamo una birra: in coro, «Sì»; si alza e ce la porta, lasciandoci di stucco. La sorseggiamo lentamente, Geordie si unisce alla conversazione mostrandoci le foto della sua ragazza, scherzando sulla lontananza, fans fotografano la scena. E’ tardi, il manager inizia a chiamare, il gruppo è stanco, ma ce ancora tempo per un abbraccio, prima di lasciarci in questa notte di scherzi. Autore: Pierpaolo “Pierre Sbarzeguti” Livoni
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