Ricordate i dEUS? Dio solo sa quanto avrei desiderato un seguito dell’eccellente “The Ideal Crash”, che la cronaca ha poi provveduto a consegnare alla storia, purtroppo, come canto del cigno della brillante band belga. Proprio di questi giorni peraltro è la notizia del ritorno del frontman Tom Barman con un nuovo progetto – i Magnus. E ulteriormente a fagiolo mi capita tra le mani il debut album di questo combo americano, che idealmente rivendica, come tutti, il diritto a una trattazione “personalizzata”, che non abbia opzioni “comparative” per default.
Certo, anche le band dovrebbero fare la loro parte in questo, intraprendendo una strada che sia di loro esclusiva. Altrimenti non ci resta che dire ciò che gli stessi diretti interessati già sanno: il ricorso – consapevole – a un qualche beniamino.
Il trio in esame forse non ha la minima idea di chi sto parlando. E non ci stupiremmo di scoprire che si tratta di un’ennesimo caso di “coincidenza”. Eppure è così: malizioso gioco di alternanza tra rumore e melodia, maniere forti e carezze, feeling urbano (ma non stradaiolo, attenzione), suono sufficientemente sporcato (soprattutto alla voce) e, appunto, “maledetto”. Se provate a metterlo a bassa voce otterrete un continuo ronzio di sottofondo, risultato dell’ipoamplificazione dei loro muri chitarristici. Un “alter” disco da catalogare, senza l’entusiasmo di cui ogni tanto abbiamo bisogno.
Autore: Bob Villani