I Walkmen mi sono stati simpatici da subito. Da quando nel 2002 fa mi capitò di recensire il loro primissimo EP, un dischetto di quattro canzoni pubblicato dalla Shingle Street che s’intitolava “Let’s live together”. Da allora non li ho mai persi di vista. In attesa che, bel disco dopo bel disco, sfornassero finalmente il loro capolavoro.
Ora, un decennio dopo, ascoltando “Heaven” mi rendo conto che probabilmente sia arrivata l’ora di rassegnarmi all’idea che quel capolavoro non arriverà mai.
Ma alla fine poco importa, giusto? I Walkmen non passeranno alla Storia del rock, ma ciò non toglie che siano capaci di sfornare ancora una volta un disco onesto e scritto bene.
Con quel suono dal sapore così “vintage” e analogico, che pur restando pieno di riferimenti e citazioni palesi, è ormai il suono “à la Walkmen”.
Con una manciata di canzoni capaci di emozionare, e che probabilmente nemmeno aspirano ad essere “canzoni perfette” (del resto loro stesso cantano “Oh give me a life, that needs correction / Nobody loves, loves perfection” nella splendida opening track, “We Can’t Be Beat”).
Un disco di ballate sussurrate (“Southern Heart”), riempitivi evitabili (“Line By Line”, “No One Ever Sleeps”), brevi scariche post-punk (che spettacolo, “The Love You Love”!), piccole gemme rock’n’roll (scommetto che gli Strokes pagherebbero oro per poter scrivere, oggi, un pezzo come “Heaven”) e melodie memorabili (“Heartbreaker”).
Arrivi alla fine del disco e ti viene voglia di ripremere play. Magari “skippando” quei pezzi che non t’hanno preso più di tanto. Non è un capolavoro, appunto. Ma, sul serio, chi ha veramente bisogno della perfezione? In questi dieci anni mi sono reso conto che forse nemmeno esiste. O forse esiste, ma non so se vale davvero la pena perdere del tempo ad inseguirla a tutti i costi.
Autore: Daniele Lama