Freakout incontra i Subsonica a Napoli il 15 Settembre, poco prima di uno degli ultimissimi concerti voluti per la promozione di ‘Terrestre’, il nuovo album uscito in Primavera. E’ il momento giusto per un bilancio, e per capire qualcosa di più riguardo al presente e al futuro di un gruppo rock italiano importante, che dopo 4 dischi in studio ed un ‘live’ è sempre sulla breccia, con grande successo di pubblico, una partecipazione nel 2000 al Festival di Sanremo ed un nuovo contratto con la Emi che ha fatto discutere per mesi. E con tante ambizioni, magari anche internazionali.
Samuel (voce) e Boosta (tastiere) ci concedono un po’ del loro tempo nel back-stage pochi minuti prima di uno show come al solito affollatissimo di ragazze e ragazzi di tutte le età.
Come procede la tournèe in giro per l’Italia iniziata a Maggio per promuovere il nuovo disco, ‘Terrestre’? In particolare il vostro pubblico storico – quello che vi segue da tanti anni – come reagisce al nuovo show?
Samuel: Abbiamo all’attivo ormai una quarantina di concerti in pochi mesi, siamo abbastanza logori; il nostro pubblico dopo qualche dubbio iniziale – un dubbio che si manifesta ad ogni nostra nuova uscita discografica, poichè noi amiamo spostare ogni volta le nostre traiettorie musicali e di ricerca – si è fatto trasportare dal disco. E’ un live più travolgente dei precedenti, basato più sul fisico che sulla testa, e ciò ci ha aiutato a coinvolgere di più le persone che sono state tantissime: la tournèe è andata molto bene, ci restano altre tre date dopo Napoli: domani a Rieti, dopodomani l’MTV Day, poi chiuderemo con una grossa festa nella nostra Torino (…ma pochi giorni dopo l’intervista, sul loro sito già si parla di date extra in Sicilia: ad Acireale e Palermo, ndr).
Intendete portare lo spettacolo anche all’estero? ‘Gasoline’ – con il testo in inglese – potrebbe essere un singolo giusto per ‘agganciare’ il pubblico straniero…
Samuel: Beh, noi quella canzone l’abbiamo scritta in inglese perchè è venuta fuori così: non c’era l’intenzione di fare una canzone in inglese per poter andare all’estero… tuttavia l’idea c’è: ma è una operazione che necessita di un grande lavoro, e bisogna programmare una pubblicazione internazionale di ‘Terrestre’ ed un tour promozionale per farlo conoscere, e così faremo dal prossimo anno…
Gli Afterhours pare vogliano rifare il loro nuovo disco con i testi in inglese per ‘esportarlo’ in America, lo stesso ha già fatto Cristina Donà… avete pensato anche voi a qualcosa di simile?
Samuel: Noi inizialmente avevamo pensato di tradurre qualche canzone in inglese, dopodichè abbiam fatto venire a Milano, per il concerto al Filaforum, alcuni promoter stranieri che ci hanno consigliato di mantenere le canzoni così come sono, perchè potrebbero funzionare lo stesso. Non abbiamo ancora preso una decisione definitiva in merito poichè per ora siamo molto concentrati sul tour italiano e sulla data di stasera a Napoli; penseremo solo dopo, in maniera più rilassata, a questi particolari.
Ricordo un vostro concerto a Napoli nel 1998 – erano i tempo in cui cantavate “Le Cose che non Ho” ed eravate agli esordi –: da allora siete molto cresciuti nella produzione dei vostri concerti, ma si dice che continuate ad occuparvene in prima persona… è così? Si tratta di un impegno gravoso che richiede, immagino, competenze notevoli da parte vostra…
Samuel: Si, la prima produzione che abbiam fatto – che coincise col tour di ‘Microchip Emozionale’ – nacque dall’esigenza di portarci dietro una struttura nostra: eravamo stanchi di giungere nei locali per suonare e non trovare le casse, come spesso ci era successo nel lunghissimo tour di ‘Subsonica’ (il disco d’esordio del 1998, ndr), inoltre la nostra musica s’è sempre basata sul suono, e se non hai con te un tipo d’impianto fedele che riesca a veicolare quel tipo d’attitudine è difficile far ascoltare la musica dei Subsonica; e quindi siamo partiti nel secondo tour con un nostro impianto, molto piccolo ma curato per bene su quelle che erano le nostre esigenze. Da lì abbiamo cominciato a lavorare con delle persone che fornivano questi materiali e che ci seguivano in veste di tecnici: la famiglia così è cresciuta, è stato come se i Subsonica acquisissero nuovi componenti. Per la tournèe di ‘Terrestre’ sentivamo di aver ormai acquisito le necessarie competenze per gestire personalmente la tournèe, e questo ha fatto in modo che, controllando il prezzo delle spese tecniche, si possa anche contenere il prezzo del biglietto, e così è stato: abbiamo avuto lungo l’intera tournèe biglietti d’ingresso il cui prezzo oscillava tra 12-14 euro, e per una produzione come questa, che prevede il palco interamente nostro, con cinque video e le relative spese di montaggio e di ripresa dei video una quarantina di persone, tre tir ed il catering al seguito è un prezzo molto basso…
‘Terrestre’ è stato accolto da subito con entusiasmo da pubblico e stampa, ma in primavera c’è stata una polemica intorno a voi (avviata, forse involontariamente, da Sergio Messina su Rumore) poichè non tutti hanno compreso il motivo del vostro nuovo contratto con la Emi. avete abbondantemente spiegato ragioni e condizioni della vostra scelta, ma vi ha ferito che si sollevassero dubbi sulla vostra coerenza artistica? Ve l’aspettavate?
Samuel: (sorride… ndr) Guarda, la polemica oggi giorno è alla base di ogni tentativo di trovare spazi sui giornali, ed io credo che quella polemica lì sia stata innescata proprio per trovare uno spazio in più, perchè vedi: il fatto che si parli di un gruppo come i Subsonica, in bene o in male, con tutta l’esposizione che abbiamo avuto subito dopo esser stati a Sanremo qualche anno fa, catalizza l’attenzione della gente.
Questa polemica del resto si basava su fatti dei quali eravamo a conoscenza soltanto noi (probabilmente Samuel si riferisce al valore economico del contratto, che è rimasto top secret per scelta del gruppo ed ha destato così la curiosità dei giornalisti; ndr), e così diventa difficile dare un giudizio. La realtà è stata che al termine di un contratto discografico – e direi di una strada ricca di successi e fatica percorsa insieme alla nostra vecchia etichetta Mescal – era venuta meno la fiducia reciproca, e così alla scadenza del contratto non ce la siamo sentita di rinnovarlo.
In più: la Mescal è un’etichetta indipendente, ma i nostri dischi venivano comunque distribuiti da una multinazionale, e così, come vedi, con la scelta fatta abbiamo semplicemente eliminato un passaggio: ora ci facciamo distribuire da un’altra multinazionale, certo, però gestiamo completamente noi sia l’aspetto organizzativo sia l’aspetto artistico. Questa cosa, può sembrare assurdo, ma ci ha reso ancora più indipendenti di quanto non lo fossimo prima.
E’ come stare nel sistema ma alle vostre regole…
Samuel: Si, in realtà per noi a questo punto era anche più semplice, perchè dopo aver fatto tutta questa strada avevamo un potere contrattuale maggiore. Però per chi non conosce la realtà dei fatti è facile dire: avete abbandonato un’etichetta indipendente per andare con una multinazionale; è la prima cosa che viene in mente.
Ma se guardi il retro dei dischi delle etichette indipendenti lo puoi vedere: i dischi della Mescal ad esempio sono distribuiti dalla Sony. Dunque è successo semplicemente che i Subsonica ora si sono accollati anche il lavoro che faceva per loro la Mescal, e i nostri dischi vengono distribuiti dalla Emi anzichè dalla Sony.
Nel disco nuovo ci sono delle novità: una canzone sulla guerra in apertura, un pezzo acustico, e poi ‘Terrestre’, il brano omonimo: elettronica minimale ed elegante, una cosa abbastanza nuova nel vostro repertorio.
Samuel: Una cosa realizzata dal nostro tastierista cieco (sorride e chiama in causa Dj Boosta, vistosamente bendato all’occhio sinistro a causa di una scheggia che l’ha ferito, per fortuna senza gravi conseguenze; sul palco si esibirà ad ogni modo senza la bendatura, ndr)…
Boosta: …Beh, ‘Terrestre’ è stato il frutto di qualche esperimento avviato da me nei mesi precedenti alla registrazione del disco. In studio abbiamo fatto diverse sessioni di registrazione nelle quali abbiamo lasciato libero spazio agli strumenti e ad una modalità più libera di suonare rispetto ad un passato nel quale il lavoro in studio per noi era maggiormente controllato dal computer e c’era più rigidità.
Alla fine del lavoro ci siamo ritrovati con una ventina di pezzi che erano veramente pop. Tuttavia abbiamo deciso di lasciare fuori dal disco alcuni di questi a vantaggio di cose come ‘Terrestre’, che è in effetti un pezzo po’ fuori dai nostri canoni, ma è coerente innanzitutto con la scelta di maggiore libertà in studio di cui ti dicevo, ed anche con un nostro recente interesse per cose degli anni 70 quali un certo tipo di prog, nonchè per un altro tipo di suono quale quello di Brian Eno.
C’è in effetti una sorta di dilatazione, in quel pezzo, è una camera di decompressione: un’idea mutuata dal disco precedente: in ‘Amorematico’ c’era infatti questa lunga suite (‘Atmosferico’, ndr) di un quarto d’ora realizzata da Roger Rama, che chiudeva il disco di canzoni ed apriva una sezione in cui potevi distaccarti da esso.
In ‘Terrestre’ abbiamo deciso di fare la stessa cosa, però facendone una canzone: un pezzo dilatato che rimane nei quattro minuti.
Non vi interessano più certe atmosfere dub e reggae, che accennavate nei vostri esordi tanti anni fa? Forse vi ha stancato quel tipo di cultura e di musica?
Samuel: Guarda, era un colore che davamo ai pezzi; noi non siamo mai stato un gruppo reggae nel vero senso della parola, ma Torino – la città da cui proveniamo – ha sempre avuto una grossa influenza reggae grazie agli Africa Unite (gruppo in cui militò lo stesso Max Casacci, ora chitarrista dei Subsonica, ndr.). E’ un suono che nei sotterranei della città pulsava, e di conseguenza ha contaminato quasi tutte le realtà musicali di Torino.
Noi cercavamo uno stile personale, ed inconsapevolmente siamo stati influenzati dal reggae.
Nell’evoluzione dei Subsonica – come tutti gli stili musicali che abbiamo ascoltato e conosciuto in questi anni – anche questo è stato metabolizzato, macinato, e poi ritrasformato al servizio della nostra musica. Nel nuovo album c’è un pezzo che si chiama ‘Salto nel Vuoto’ che riecheggia un po’ quel tipo di battute, e se indaghiamo a fondo anche ‘Corpo a Corpo’ parte da un’ispirazione ragamuffin’.
In ogni caso sì: è un tipo di sonorità che è stata lievemente messa in disparte rispetto ad un passato in cui parecchi pezzi avevano quel tipo di approccio. Non è detto che non venga ripresa nel futuro, ma può anche darsi che sarà questa la dimensione futura della nostra musica.
Ho sempre avuto difficoltà ad inquadrarvi in una scena musicale; in Italia poi mi pare non ci sia niente che vi somigli davvero…
Samuel: (Sorride… ndr) Oggi come oggi sarebbe comodo per noi essere inquadrati in una scena musicale, ma davvero siamo fuori da un contesto di riferimento… purtroppo o per fortuna: purtroppo perchè chi deve parlare di te e può aiutarti a farti conoscere trova difficoltà, d’altro canto però era quello che c’eravamo ripromessi sin dall’inizio, cioè riuscire per il più lungo tempo possibile a non essere catalogati.
Io credo che le giovani band italiane abbiano difficoltà ad emularvi, con questa formazione che accosta chitarre elettriche e dj-set…
Samuel: I Subsonica sono la punta di un iceberg creativo, musicale, di stimoli; riuscire a creare qualcosa oltre è proprio difficile, secondo me. Penso che abbiamo filtrato talmente tante cose noi alla base, che un gruppo copia dei Subsonica diventerebbe la copia di una sintesi che è già stata fatta. Altri gruppi popolari si basano più su un determinato tipo di sound, e a quel punto lì è facile rifarli: cambi le persone, ma se sei bravo a riproporre quelle sonorità il gioco è fatto.
Sempre con riguardo alle nuove generazioni rock italiane: in Luglio Manuel Agnelli degli Afterhours si è dichiarato rammaricato, in un’intervista, del fatto che la vostra generazione di musicisti (La Crus, Afterhours, Subsonica) non sarebbe riuscita a trasmettere a quella immediatamente successiva passione per la musica anzichè per il successo. Al solito, Manuel sui giovani d’oggi ‘ci scatarra su’: anche a voi i ragazzi chiedono semplicemente come devono fare per “diventare famosi”?
Samuel: A me pare che ci siano tantissime persone che si rendono conto della nostra passione, di conseguenza non vengono a chiederci come abbiam fatto a “diventare famosi”.
E questo per assurdo, perchè noi abbiamo fatto delle scelte un attimino più “commerciali” rispetto ad altri gruppi; però abbiamo sempre cercato – pur prendendo questa strada – di trasmettere a quante più persone questo tipo di scelta; ad esempio, da quando siamo andati a Sanremo tutti ci chiedono di andare al Festivalbar, e noi non lo facciamo per un semplice fatto: l’amore per la musica… in quella vetrina lì ciò che viene fuori è purtroppo quest’altra parte della musica: il commercio, non la passione.
Molto probabilmente, avendo spiattellato la nostra musica in dei canali molto grossi, abbiamo mostrato per bene il nostro amore per la musica, così molte persone ci chiedono di questo.
Vuoi parlarci di ‘Casasonica’ (vostro quartier generale ed etichetta) e dei progetti realizzati? Boosta: tu mi pare abbia collaborato coi Gazebo, di recente…
Boosta: No, aspetta, facciamo ordine: Casasonica è divenuta di recente anche un’etichetta indipendente; è stata avviata da Max e cerca di scandagliare il fondale della musica italiana e portare così alla luce proposte interessanti. I gruppi che sono usciti sinora sono Sikitikis e Cinemavolta: gruppi che cantano in italiano, e questa è un’altra peculiarità della proposta.
Ma io, per quanto riguarda le mie cose, son sempre rimasto al di fuori di Casasonica, per un semplice motivo: Casasonica, come etichetta, è nata dopo. Il disco del quale stai parlando tu, “Iconoclash”, è infatti una cosa del 2004 nel quale ho giocato con le pop star degli anni 80 e con i loro pezzi più storici. Li ho ricostruiti, e non ne ho fatto altre canzoni; un progetto che è nato e finito lì.
L’idea di Casasonica è quella di essere una nuova etichetta indipendente che si affaccia sul mercato, ed una sorta di fucina di giovani artisti italiani.
Samuel: E’ Max che si occupa delle produzioni, potrà succedere in futuro che di qualcuna me ne occuperò magari anch’io, ma fondamentalmente Casasonica è lo studio di Max ed il quartier generale dove noi siamo nati e dove lavoriamo insieme quando costruiamo il nuovo disco.
Davide (Boosta, ndr) ha il suo percorso come dj, io parallelamente il mio coi Motel Connection.
Dunque continuernno ad esistere, Samuel, i Motel Connection?
Samuel: Si, io credo che per tutti noi avere un’ “amante musicale” faccia bene al rapporto: a livello creativo ci arricchisce, ed è tutta energia che entra poi nel gruppo.
Tutti noi, avendo messo su questi vari progetti paralleli, diamo sfogo alle nostre singolarità; una volta riunitici ritroviamo un equilibrio superiore, ed una rigenerazione della creatività.
Non è una cosa che ci distrae, anzi: quando si lavora in cinque per tanti anni si creano delle dinamiche abitudinarie che noi vogliamo eludere lungo la strada. Coi progetti paralleli ci viene più facile perchè presuppongono che tu distrugga il tuo modo di lavorare e ne apprendi uno nuovo.
Vi è sempre piaciuto il contrasto tra ‘tecnologia’ e ‘sentimento’ (“microchip-emozionale”, “amore-matico”…) e nei vostri testi leggo una visione pessimista ed ansiosa su questa umanità metropolitana individualista che si muove istericamente tra uffici, tangenziali, centri commerciali e discoteche senza sapere cosa vuole realmente, ma portandosi dentro una grande solitudine. Ti occupi tu, Samuel, dei testi delle canzoni?
Samuel: Io e Max ci occupiamo dei testi, e ci facciamo aiutare da un nostro amico, Luca Ragagnin, che amo definire “complice di parole”, che è un poeta ed una sorta di editor.
Pensiamo che il testo sia una parte fondamentale quanto il suono, in una canzone, non essendo noi soltanto dei dj.
Un po’ quello che dicevi tu è la verità: a noi piace raccontare questa sorta di solitudine metropolitana tra uffici, lavoro, tra la vita che ti scappa via tra le mani e la voglia alla sera di staccare la spina e tuffarsi nel magma notturno. C’è da dire che fermarsi a leggere dà una visione anche triste del nostro immaginario, del nostro mondo; tuttavia noi amiamo anche – come sottolineavi – creare contrasti, e di contrasto qui ci mettiamo il ritmo: il ritmo che imperversa nelle nostre canzoni è proprio la cosa che bilancia la malinconia. Si può dire anche una cosa molto malinconica, ma se la metti sotto una cassa a 130 bpm l’effetto è di contrasto.
Torino è una città nella quale – avete lasciato talvolta intendere nelle interviste – non tutto sembrerebbe perduto rispetto ad altre grandi metropoli: ci sarebbe ancora un barlume di libertà artistica e di senso comune tra la gente…
Samuel: Credo che la salvezza di Torino, da questo punto di vista, sia stata sempre la povertà. Torino è sempre stata una città povera, e le persone han sempre dovuto rimboccarsi le maniche ed impegnarsi tanto l’una affianco all’altra.
Riguardo l’aspetto artistico: realtà musicali europee che si ascoltano adesso a Torino perchè vengono ad esibirsi da noi, arriveranno nel resto d’Italia magari soltanto fra due anni, perchè le realtà giovani ed emergenti si esibiscono ad un prezzo del biglietto inferiore; le paghi di meno e così Torino può permettersele: da noi si vivono in anticipo fenomeni artistici rispetto ad altre città più ricche. Ecco che la povertà di Torino è un po’ la sua fortuna. Sò che anche per Napoli vale un discorso simile.Autore: Fausto Turi e Colomba Palladino
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