Bella. Elegante. Buffa. Parliamo di Yvonne Cornelius, in arte Niobe, come la regina di Tebe dalla tragica storia. Vederla dal vivo è un piacere, ancor di più relazionarcisi direttamente e a distanza ravvicinata prima del concerto tenuto qui a Napoli. Una serata tipicamente tardo-primaverile nella suggestiva cornice del giardino di un palazzo storico del centro: sembra tutto costruito su misura perché una cittadina della fredda e industriale Colonia possa ricordare questa circostanza. Dicevamo di lei.
L’opposto di una pop-rock star bizzosa e inavvicinabile, anzi disponibile, divertita, e appunto divertente con quel fare, sempre alla ricerca di qualcosa da mimare, e quel vestire – si segnala una coraggiosa tovaglia da pic-nic utilizzata come camicia, praticamente – paradossalmente un po’ goffo, apparentemente sbucata fuori da qualche musical-varietà di 30 anni fa e passa, che si prende anche il lusso di ricambiare a fine chiacchierata con alcune domande, in una ironica inversione di ruoli.
Tutto ciò trova il suo match, sul piano musicale, con delle argute e sinuose scorribande di samples di mille e una fonte – intricato tappeto su cui si staglia una voce scura da chanteuse iconoclasta – fino a stravolgere, su tale bizzarro registro, un inno tropicale come ‘Brasil’ – tanto per tornare alle risultanze della serata. Potremmo definirla cocktail music del futuro, tanto per l’affinità stilistica a quella originaria quanto, appunto, per la confluenza di tanti ed eterogenei filoni di ispirazione. Ma chi mai può dire l’ultima parola su Niobe se non la diretta interessata?
Niobe: che cosa ti ha fatto scegliere questo nome (quello della regina di Tebe) che ricorda una storia tanto tragica e drammatica?
Ero giovane, e stupidamente idealistico (roba tipo ‘combatto per la libertà’). La verità è che ero contro la mitologia, la Chiesa, e la gente intorno che mi diceva ‘che arroganza! una storia di bambini trucidati!’.
La vicenda di Niobe è ricca di aspetti grotteschi e paradossali, che da un punto di vista estetico e musicale si ritrovano anche nelle tua composizioni. La mia è una affermazione che riconosci?
Sì, mi considero aperta mentalmente, e il tutto confluisce nella musica. Mi piace la classica, e adoro Yma Sumac (la regina dell’exotica negli anni 50/60, ndr) e la sua incredibile estensione vocale di 6/8. e poi il jazz, Fela Kuti, roba che trovo affascinante e da cui attingo nel fare musica.
La struttura complessa e tanto articolata dei tuoi brani presuppone la collaborazione attiva di altri componenti oppure riesci a fare tutto da sola?No, faccio tutto da sola. A volte Etienne (turntablist e chitarrista che la sta accompagnando in tour, ndr) contribuisce con la chitarra, ma la struttura dei brani è intermanete farina del miosacco! Ho uno studio nel quale chiudermi per comporre con l’ausilio di sequencers, e quando attacco, dimentico tutto, magari c’è qualcuno che viene ma poi va via subito perché sono talmente intenta che anche al momento di andarsene faccio fatica ad accorgermi che mi stanno salutando!
Con i Mouse on Mars condividi alcuni lavori, e lo stesso Andy Toma è tra i titolari dell’etichetta (Sonig) che ti pubblica. Quale spirito hai raccolto avvicinandoti a loro?
Sono stata ospite in un loro disco. Inizialmente rifiutai l’invito… non riesco a lavorare su musica che non sia scritta da me. Però loro mi hanno dato la possibilità di cantare a modo mio, e alla fine non esitarono a sottolineare che stavano cercando una voce come la mia!
Si è parlato, a proposito delle tue canzoni, di torch song, di pop postmoderno. Riesci a condividere quasta analisi?Non considererei le mie canzoni come post-moderne… non ha molto senso. Diciamo che sono come una vecchia radio che cambia continuamente frequenza, una sorta di cut-up di atmosfere diverse di cui la mia testa è piena.
Ti riconosceresti nello stile di una moderna chanteuse, rifacendo il modello di quelle francesi e tedesche come Edith Piaf o Lili Marlene?
No, assolutamente. Cerco da anni di trovare una ‘tune’, un timbro, ed è una cosa molto difficile da portare a compimento. E’ una questione di sintonia, non del modo in cui qualcun’altra canta. Un po’ come quando Lou Reed chiese a Nico come cantare ‘I’ll Be Your Mirror’…
Parlaci delle impressioni che sta suscitando con questo tour nella tua carriera.
E’ il mio primo tour, sai? Suonare dal vivo mi fa concentrare sulla musica. E’ un modo insolito di suonare con tutta la gente seduta di fronte a me, pronta ad applaudire alla fine di ogni brano. Discorso a parte per il pubblico italiano, più assorto a seguire la musica, discreto e introverso… ma va benissimo così!
Puoi anticipare qualcosa dei tuoi prossimi impegni?Quella di stasera è l’ultima data di questo tour, per l’estate resterò a casa a produrre i brani del prossimo disco.
E se ti chiama qualche festival estivo? Un Sonar, tanto per spararla grossa…
Mi dispiace, ma non se ne parla nemmeno!! Quanto al nuovo disco, prima del 2006 non credo che esca.
Per chiudere: ti consideri più musicista o cantante?Sicuramente più musicista, nel senso proprio di compositrice. E poi vorrei dirti qualcosa delle ‘visuals’ che anche stasera vedrai… a realizzarle è tale Cecilia de Medeiros – che ha anche fatto la copertina di “Voodooluba”. E’ molto brava, e soprattutto ha compreso subito il mio tipo di estetica.Autore: Roberto Villani / g.ancora
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