Negli ultimi tre anni, da quando ciòe sono sotto contratto con l’etichetta di culto The Reverberation Appreciation Society, gli Hooveriii (da pronunciare Hoover 3) hanno indagato vari aspetti del sound a cavallo tra anni Sessanta e Settanta. Se l’acclamato “Water For The Frogs” era un disco psichedelico a tutto tondo, “A Round of Applause” accolto altrettanto bene da pubblico e critica – vedeva la formazione di base a Los Angeles flirtare apertamente con il kraut rock.
Nati come progetto solitario del multistrumentista Bert Hoover, già in sella a formazioni indie americane come Jesus Sons, Mind Meld, Cab 20 e Groop, gli Hooveriii si sono trasformati nel corso del tempo in un gruppo vero e proprio.
“Ogni disco è una sorta di risposta al disco precedente e mi piace ascoltare le discografie delle persone in questo modo”, spiega Hoover. “Quando abbiamo finito “A Round Of Applause” eravamo in modalità rock e suonavamo con un sacco di gruppi rock e psichedelici e mi sono chiesto ‘cosa fare con un quarto disco?’”.
Il quarto LP inteso come sforzo collettivo – i primi tre “Quest For Blood”, “Destroya” e “Head-Squeeze” sono esplorazioni in solitaria di Bert – si intitola “Pointe” e mostra un netto cambio di rotta, come lascia intendere la prima canzone in scaletta, “Prom”, una delicata indie-pop song seguita a ruota da “The Tall Grass”, primo brano dell’album per cui è stato girato un video. Si tratta anche qui di un episodio sinuoso e dai riflessi psych che scivola nella ballata “This Rock” dagli aromi vagamente lennoniani.
Rispetto alle prove precedenti, dove la jam era la regola e non l’eccezione, in “Pointe” gli Hooveriii prediligono in tutta evidenza la forma-canzone, anche quando spingono un po’ di più sull’acceleratore ritmico (è il caso di “Cant’ Your Hear Me Calling”, dalle marcate influenze acid jazz, o della più arrembante “Game”) o rallentano per tuffarsi in un’altra lenta ballad con tanto di slide (“I Am Alive”) o con la melodiosa voce femminile di Anna Wallace a brillare (nella conclusiva “Dreaming”).
Ma il serpente, si sa, pur cambiando pelle resta sempre un serpente, così il settetto non perde il gusto per la dilatazione: lo dimostrano un episodio intrinsecamente psichedelico come “Circling The Square” o gli oltre nove minuti di “The Ship That I Sail”, a conti fatti gli episodi più intriganti di quest’ennesimo lavoro della formazione californiana.
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Premetto che per un mio vizio della mente ho sempre amato di più i The Cure di “Three Imaginary Boys”...