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Recensione: Onirica – Com’è bella la mia gioventù (BulbArtWork

di Redazione
16 Dicembre 2013
in Recensioni
Tempo di lettura: 4 minuti
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Da quando esistono come band, nel 2006, gli Onirica (Nicola D’Auria alla voce e chitarra, Simone Morabito al basso, Antonio Sorrentino alla chitarra, Luigi Marrone alla batteria) hanno calcato praticamente ogni palcoscenico campano e di regioni limitrofe, tra club, festival e trials, oltre ad essere stati ospiti di Red Ronnie e di Rai Uno.
Mamamù, First Floor, Velvet, Galleria19, Duel Beat, Doria 83, e tanti altri sono stati i palchi che li hanno visti suonare, e Teatro degli Orrori e Lombroso alcune delle prestigiose band di cui hanno fatto da opening act.
Inevitabile dunque che il loro primo album ufficiale, Come è bella la mia Gioventù, dopo due EP di buona fattura, prodotto dalla grintosa e rampante etichetta locale BulbartWorks, sembri essere già un prodotto di grande esperienza.
E’ in effetti il risultato di un lavoro incessante, fra live e momenti di lavoro in studio, che accosta al loro esordio gli Onirica immediatamente a grandi band nostrane dello stesso genere indie-pop, come Tre Allegri Ragazzi Morti, Perturbazione etc.
L’album è un intero crescendo: Il grande freddo dell’autunno 2005, La Guerra, Macchine lanciano una sonorità pop con ritmi dolci e chitarre che arpeggiano ma non fanno male né troppo rumore, e una voce suadente che non grida né urla ma colpisce diritto al cuore con testi ironici, ma di ironia nera, addirittura pulp in Pupille, e il gioco di questi pezzi è sussurrare dolcemente storie durissime da pugno allo stomaco, come la fine devastante e alienata di una storia (il Grande Freddo), l’amore violento e sado-masochista di Pupille, l’ironia sociale di Macchine, particolarmente dolorosa per la nostra nazione capitale delle morti sul lavoro. L’unica canzone di speranza è La Guerra, dove i cori accompagnano la melodia ariosa e solare.
Giulia GT, dedicata a Pasolini e scritta dal punto di vista del suo assassino, è una ballata apparentemente romantica ma in realtà assassina: e se nei primi pezzi gli Onirica si muovevano sulla scia dei Perturbazione, qui sembrano ricalcare lo stile dei Tre Allegri Ragazzi Morti, di cui Giulia GT sembra essere una di quelle ballate che poi esplodono nei ritmi punk. Qui invece non c’è esplosione, ma un costante arpeggio di chitarra e pianoforte e una melodia testuale appena sussurrata, che contrasta con il testo volutamente violento ed esplicito che racconta dell’omicidio di Pasolini.
Fin qui, lo stile degli Onirica ha già trovato una sua collocazione autonoma: ironia dark, melodie dolci ma in realtà cattive, contrasto fortissimo fra testi e musica. Ed è tutto già una bellissima sorpresa per l’ascoltatore.
Ma l’album sembra davvero svoltare, musicalmente e testualmente, a partire da Pied-Noir: i testi assumono un respiro più alto, e cantano di immigrazione, razzismo, di delirio di potere, di scandali politici, della fastidiosa presenza della Chiesa, insomma si fanno velata denuncia sociale. E contestualmente la trama musicale, senza abbandonare il genere, si fa più complessa, più strutturata e piena: l’indie-pop sfocia nel rock a volte e a tratti addirittura nel post-rock, e l’atmosfera musicale dell’album cresce a livelli insospettabili, complici anche le seconde voci di bassista e chitarrista che danno per esempio proprio a Pied-Noir un respiro maggiore mentre la chitarra elettrica si fa sentire per la prima volta in tutto il par suo.
La preghiera del presidente invece è la carta di presentazione del nuovo batterista Luigi Marrone: pezzo veloce, forte, ritmato, ben accompagnato da chitarre ritmiche che ricordano gli Editors, e da un testo efficace grintoso e arrabbiato: un pezzo definitivamente punk, che sancisce la svolta verso la seconda parte dell’album.
Segue Una Coppia: anche qui un intro veloce ed efficace, una melodia grintosa che non ti permette di star fermo, e un ritornello che nella sua semplicità strega l’ascoltatore e lo costringe a canticchiare in coro.
Già bravissimi e sorprendenti sin qui, gli Onirica chiudono in bellezza con Canzone per Papà, che stilisticamente torna ai pezzi iniziali dell’album, ma colpisce per un testo efficace e durissimo isipirato alla storia dei vari Sindona, Gelli e inquietanti personaggi e trame buie e tuttora nascoste della nostra recente storia.
E la stessa guerra di cui si auspicava la fine nel secondo pezzo, qui torna in chiusura come una guerra ormai già finita (la Guerra è Finita da Vent’anni), ma il protagonista del pezzo è il boom economico successivo, che ha trasformato il nostro paese distorcendo un’economia già malata. Questa volta l’ironia nera lascia il posto al tono epico-drammatico, benché intimista, alla De André, dimostrando che anche il nostro cantautorato classico non è estraneo all’ispirazione di questi quattro ambiziosissimi ragazzi.
Che sembrano pescare, contemporaneamente, da quanto di meglio offre il panorama indie italiano attuale, e contemporaneamente dalla grande lezione, sempre nostrana, dei cantautori del passato, con un occhio però, lontano ma più che malizioso, ai grandi flussi indie rock internazionali di questi anni.
Ne viene fuori un album di grande respiro, dove c’è tanta storia (triste e oscura) del nostro paese, ed è sorprendente che a raccontarla, a guardare nelle pieghe ancora non risolte degli anni ’60 e ’70 della nostra storia, vi siano quattro ragazzi di tutt’altra generazione.
Ed è questa non l’unica né l’ultima cosa di questa band e di questo album che davvero ci farebbe sperare nella rinascita della musica di qualità italiana, se non fosse che per fortuna questa rinascita non è una speranza ma ormai un fatto concreto.
E le band campane come gli Onirica (e i loro colleghi Le Strisce, Cielo di Bagdad, Redroomdreamers, When The Clouds) in questa rinascita sono in prima linea, dopo tanti anni di buio e di autoreferenzialità partenopea.

Autore: Francesco Postiglione

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