Quando i dischi si fanno tanti si fa un po’ seccante dover trattare di artisti per i quali non si dispone di alcun collegamento con quanto noto, o di cui non si è mai neanche minimamente letto altrove. Come That Summer, altrimenti detto progetto solista di David Sanson, a dispetto del nome transalpino come l’etichetta per cui esce questo suo terzo album. Il pericolo è di incappare nello snobismo di chi non sa esclamare altro all’infuori di “e chi è?!”, ed è un pericolo che si fuga solo con un imperterrito dire di sì, e andare avanti nell’ascolto di ciò che si capita sotto mano. E non è escluso che tale disponibilità venga premiata con un buon disco. Quindi, andiamo avanti.
Il primo pensiero nell’ascoltare “Clear” corre quasi inevitabilmente al velluto nero dei Tindersticks, e ancor più ai National, che Sanson va idealmente a rimpiazzare nel roster della Talitres (postazione ubiqua visto che in America uscivano su Brassland) dopo che sono andati a far compagnia ai primi su Beggars. Ma è un’impressione che trova riscontro solo laddove il pianista di Chateauroux coinvolge effettivamente i suoi collaboratori (tra i quali figura Sylvain Chaveau, tanto per costruirci un collegamento di cui sopra) nell’intelaiare composizioni a più strumenti gravide di un romanticismo greve e vagamente decadente.
Altrove Sanson rinuncia a qualsiasi apporto esterno per piazzarsi solo soletto al piano. Nel qual caso, ma in parte anche prima, i brani si fanno spettrali sequenze di scarni rintocchi di pianoforte, quasi da ambient “classica” (la lunga – oltre 11 minuti – ‘Montreal’ su tutti), su cui aleggia la sua voce, che, oltre alle citate reminiscenze, sembra materializzare un novello David Sylvian. Niente di nuovo sotto il sole, però fossero tutti fatti bene così…
Autore: Bob Villani