John Grant è già da tempo andato a vivere in Islanda, rinnegando esplicitamente e volontariamente gli USA da cui proviene. Ha incontrato proprio a Reykjavik l’amica Cate Le Bon, entrambi bloccati dalla pandemia, e così in due mesi di registrazioni hanno dato vita a un concept-album dal titolo Boy from Michigan.
E’ un album concettualmente dedicato a diseredati, disadattati, quelli per cui “l’American Dream non è fatto per i deboli sciocchi dal cuore tenero”, come dice nella title track che apre anche il disco. John Grant, da omosessuale dichiarato, ne sa qualcosa, e anche se già in passato aveva criticato il sogno americano macho e spersonalizzante, in questo disco conclude la sua impietosa analisi avvalendosi di synth e drum machines dal tono quasi sempre cupo e martellante, che specialmente nel primo pezzo, grazie anche al sax, ricordano moltissimo certo sound dei Pink Floyd classici. Lo stesso Grant ha definito le prime tre canzoni “la trilogia del Michigan”, ed in effetti esse già dicono tutto del disco: la title track, County Fair e The Rusty Bull non solo sono musicalmente l’emblema del disco, ma sono anche i pezzi più autobiografici scritti dal cantautore ex-Czars. E sono quelli in cui l’atto di accusa verso l’american way of life è più esplicito, anche se non gridato attraverso proclami social-politici, ma semplicemente attraverso ricordi di infanzia, spesso mescolate a visioni oniriche, come nella perfetta e inquietante The Rusty Bull.
Toni più aggressivi, che si distaccano dal tradizionale terreno del folk elettronico a cui Grant ci ha abituato, li troviamo in Best in Me, Your Portfolio e Rethorical Figure, che sono propriamente elettro-rock: musicalmente non sono i pezzi più riusciti del disco, ma all’interno di un avvicendarsi di ballate romantiche (The Only Baby, Mike and Julie, Just so You Know, The Cruise Room, Dandy Star nelle quali spesso Grant ritorna al tradizionale piano e voce) rendono il complessivo lavoro assolutamente più vario e fruibile. Il disco si chiude con Billy, primo singolo, l’unica altra canzone altrettanto intensa e profonda da competere con le prime tre.
Ma non bisogna pensare che a parte il primo trittico e il singolo di chiusura il resto sia puro riempitivo: vi sono splendide canzoni, come Mike and Julie, perciò diciamo piuttosto che il resto del disco gira intorno a questi pezzi autobiografici e ne fa da complemento e integrazione, lasciando complessivamente all’ascolto un sapore gustoso, di varietà anche piuttosto spiazzante.
Giunto al suo quinto disco, sembra che Grant abbia trovato la direzione definitiva: abbandonato il folk classico degli esordi, gli piace giocare con l’elettronica, ma in un modo tutto suo, tale da riuscire a non rinnegare il genere, e soprattutto a raccontare storie profonde e intense, che qui raggiungono una grande maturità anche testuale.
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autore: Francesco Postiglione