Al ritmo di “Move it!” (il pezzo che ha movimentato tuuuutte le feste in casa di quand’ero ancora alle medie), la Dreamwork Picture (quella di Spielberg) presenta un altro fantastico polpettone sull’importanza di sentimenti come il coraggio, l’amicizia, il rispetto.
A dire il vero Madagascar non è stato un polpettone, anzi! Io e la bambina che mi era di fianco, alla fine del film, non eravamo ancora sazie di cartoni animati e sgambettando chiedevamo come De Crescenzo: Ancora.
Dopo Monster&co (carinissimo!) e Shark Tale e in netta concorrenza con la disneyana Pixar, la fabbrica dei sogni dell’autore di “E.T.” dà i natali al solito film per bambini-adulti-adulti- bambini (ho fatto un po’ di confusione) intriso di buonismo ecc.
La storia è semplice: ci sono una zebra e un leone dirimpettai di cella (ops! gabbia) in un superfantastico zoo dove si vive benissimo. New York ama i suoi animali in gabbia! E allora la zebra beneficia di un tapis roulant e (di fronte) un vero paesaggio africano che rallegrano le sue (finte) corse nella savana. Il leone che è la vera star dello zoo, vive di gloria e mega-fettone di carne che alimentano i suoi sogni più intimi con (non) tanto sottili venature di eros che la bambina di fianco a me non capiva… Ai due si affiancano un leggiadro ippopotamo-ballerina, Martin la zebra ipocondriaca e soprattutto i 4 pinguini “ruuski”. Tutto sembra andare bene allo zoo, gli animali sono trattati con le cure necessarie, tutte le loro esigenze sono ascoltate e le gabbie sono provviste di ogni comfort. Cosa può mai esserci di meglio? Ma la zebra in piena crisi (di mezza età?) vuole la libertà, sogna il proprio habitat naturale, vuole tornare in Africa. Intanto i pinguini hanno preparato un piano di evasione con lo scopo di raggiungere l’Antartico finendo giusto nella gabbia della zebra, mettendogli la pulce nell’orecchio. La zebra ormai non può più rinunciare al suo istinto naturale e decide di seguire i pinguini, quindi scappa per raggiungere le ampie lande del Colorado. Come? Prendendo il treno, naturalmente.
Il leone si accorge della fuga dell’amico e chiamati l’ippopotamo e la giraffa ipocondriaca (troppo divertente!) i tre vanno alla ricerca della zebra scomparsa. Pensate un leone, una giraffa e un ippopotamo che girano per le strade di New York: uno sballo! Alla fine lo trovano – ma questo è ancora l’inizio del film – e per punizione, aiutati da orde di animalisti che hanno lottato per la loro libertà vengono traghettati in Africa e dirottati a Madagascar.
Il film è carino, fatto bene, lezioso al punto giusto, pronto a solleticare la bambina che c’è dentro di me. Insomma fin quando ero bambina restavo molto soddisfatta del film: mi sono divertita (anche se secondo me, Sponge Bob sarà ancora più divertente), mi sono commossa (ma io mi commuovo sempre), mi sono spaventata e quant’altro… Poi improvvisamente è sopravvenuto l’io adulto che pensava: 1) ma come si fa a descrivere lo zoo come un luogo paradisiaco? Forse quello di New York è così, ma a Napoli gli animali non tengono manco gli occhi per piangere. 2) Come si spiega a un bambino le pulsioni sessuali di un leone nei confronti di una fetta di carne? E del suo migliore amico?
Magari un bimbo non ci pensa neanche a queste cose, ma io sono arrivata alla conclusione che la Pixar e la Dreamworks non fanno cartoon per bambini, ma per adulti con disturbi della crescita come me.
Buona visione!
Autore: Michela Aprea