Attento, urgente, blu. Distorto, lucido, cemento. Giovane, della giovinezza aggressiva di certe foto in bianco e nero, di certi tramonti passati a tirare le somme con i mano i numeri della vita di tutti che diviene, rimane, è la dannata vita di ciascuno. Fiero, della fierezza che viene dal tenere gli occhi bene aperti, dallo schivare a morsi il mal odore di una città ferita a morte. Eccolo: Io vengo dalla polvere da sparo, con i suoi 22 minuti di carne assunta a sputo, ad amore, a preghiera. Stagione di mezzo (ché l’inverno arriva solo infine, lo fa comunque e fortunatamente), l’ep è indole cantautorale che si denuda, si ri-veste di tepore pop, si sfama di caducità rock, si abbandona alla suggestione sonica, alla sete shoegaze di certo Nord Europa, di certe falde psichedeliche. Gli Onirica esistono e r-esistono: non aprono una parentesi sterile fra il silenzio ed il rumore, ma scrivono pezzi che osano dire, che parlano la cattiva lingua della verità, del sudore, del dispetto, la buona lingua dei grembi, della compassione. Con le loro sillabe impastate di vita, dedicati A tuo marito, alla spesa, al caro vita i cinque pezzi dell’ep non osano in ostilità ma in accuratezza, lasciando alle chitarre, all’impeto ritmico il dovere morale della rabbia, della violazione alle simmetrie, di una sperimentazione matura. Il cantato si tende lungo i bordi dell’insinuazione, osando confidenza nel frangente dell’intimità, del torto subito da quella dannata sete di benessere, di pulizia. Due vite, singolo di lancio dell’ep (che vede la partecipazione di Andrea Zanichelli, Il Nucleo) giura fin da subito di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità: in merito alla direzione del gruppo, al sapore dell’intero lavoro, alle temperature che lo attraversano. Storie di opposizioni, di equilibri infranti, di quell’amore/odio assassino e assassinato che annoda e sbroglia il senso della lotta armata contro l’indelebile della mediocrità, dello stento; uomini e donne precari del respiro, della sazietà, della giustizia: uomini e donne dai vicoli, dalla nudità, dalla perdita, dall’assenza di ogni privilegio. Storie quotidiane e quotidiani demoni, quotidiane suppliche, un’unica, semplice preghiera: “Ogni mattino mi alzo sperando di non finire sulle pagine di cronaca. Ogni mattino mi alzo sperando che non capiterà mai a me, ai miei amici, ai miei cari.” Musica che accorre dove non osano più il buon senso e certa democrazia: sana, dal cinismo ferito, pungente, Vera. Musica che occorre, che meriterebbe un varco in quel luogo misero in cui sempre vince chi urla un pochino più forte o chi dimentica a prescindere.
Autore: Roberta Molteni