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Intervista: Caribou

di Redazione
16 Dicembre 2013
in Interviste
Tempo di lettura: 5 minuti
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Da un giorno all’altro qualcuno cambia nome, sorta di fulmine a ciel sereno, ma poi ci si abitua, e presto. Provvediamo quindi a cancellare Manitoba dai nostri archivi e ad inserire il moniker Caribou, fermo restando il titolare, quel Dan Snaith che, dopo il debutto preminentemente elettronico di “Start Breaking My Heart”, ha saputo, con “Up in Flames” e ora con “The Milk of Human Kindness”, farsi valere come artista poliedrico, in grado di applicare la scienza delle macchine – oltretutto stiamo parlando di un laureato in matematica… – a una prelibata miscela di pop, kraut rock e psichedelia. Componente quest’ultima che, come spesso accade nell’aver a che fare con brillanti ibridi del genere, lascia una maggior traccia, sì da attribuire a un tale caleidoscopio sonoro il marchio di “psichedelia del futuro”. Che è poi qualcosa di solare e godibile, benchè segnato da una complessità tale da porre Caribou sulla vetta delle composizioni più interessanti di questa annata. Parola a Dan che è meglio…

In “The Milk of Human Kindness” fai sfoggio – come già nel precedente “Up in Flames” – di abilità in “campi” stilistici diversi (kraut-psichedelia, abstract hip-hop e songwriting vero e proprio) che si spartiscono equamente il contenuto dell’album. Dove è diretta oggi la tua ispirazione? In cosa individueresti la caratteristica principale del nuovo album?
Ciò che mi piace dell’album è proprio l’assenza di uno stile dominante sugli altri, e la felice convivenza che tra questi sembra realizzarsi. E sono abbastanza soddisfatto, in uguale misura, di tutti brani dell’album, qualunque stile gli si voglia attribuire. Tuttavia, e mi riferisco soprattutto al contesto live, propendo per suonare soprattutto i brani più kraut, sui quali ci siamo esercitati molto negli ultimi mesi. Sono brani caldi, e se lo dico io puoi fidarti.
Che tipo di immagini ti trovi davanti agli occhi quando scrivi/assembli/suoni i tuoi brani? Sei d’accordo nel considerare il tuo sound visionario, ma in senso moderno, e/o estatico, pur se in una modalità non frenetica?
Non sono affatto ispirato o indotto ad alcun tipo di immagini. La mia ispirazione è una questione puramente acustica. I suoni e la musica interessante mi emozionano parecchio, ed è il motivo per cui è un peccato che il mio udito stia peggiorando per colpa di un drumming troppo rumoroso. Con “Milk” ho deciso di ottenere quel sound estatico che solitamente viene associato al free jazz o, appunto, al kraut rock. Quando dimentico cosa accade intorno e mando tutto a quel paese riesco a produrre un sacco della musica che amo.
In ‘Hello Hammerheads’ ho rinvenuto delle bizzarre somiglianze con i brani solisti di Syd Barrett maggiormente imperniati sulla semplice voce. C’è spazio nelle tue canzoni per un feel solipsistico?
Mi piace molto la natura introspettiva di questa canzone perché appunto molto distante dal resto della mia produzione, perlopiù esplosiva e “bombastica”. Non mi ero prefissato di scrivere un brano del genere: è venuto fuori in maniera praticamente spontanea.
Che mi dici invece dei brani più orientati all’hip-hop? I sample di ‘Load Leopard’ e ‘Pelican Narrows’ sembrano radicati nella musica classica…Nessuno di questi sample nasce dalla musica classica, ma alcuni di essi ne condividono sicuramente il sound. I brani a tendenza hip-hop sono ispirati da gente come il David Axelrod degli anni 70, ma è anche vero che ho fatto ascolti a palate di Kanye West e Madvillain nel realizzare il disco.
Anche nel tuo nuovo moniker, come nel precedente, c’è un legame con la tua terra di provenienza. E’ questo il motivo alla base di una scelta sempre delicata? Da cosa distingueresti, a prima vista, un canadese da un americano?
Mi piace sicuramente che entrambi i moniker portino con sé una certa “canadesità”. Entrambi, forse, contribuiscono a materializzare immagini connesse alla mia gioventù. Riguardo a canadesi e americani, ho qualche esitazione nel tracciare delle differenze in generale, ma credo, quanto a chi ci governa, che in Canada lo stato abbia un’impronta più sociale e sia più accettato, come istituzione, dalla popolazione… ciò di cui posso dirmi orgoglioso.
Quanto è stata faticosa – e costosa – l’attività di comunicazione conseguente al tuo cambio di nome? E come mai questa risolutezza nel decidere di ristampare i vecchi album – a nome Manitoba – col nuovo moniker?
E’ stata un’attività massacrante nonché estremamente costosa! Ma non potevo permettermi di cominciare ad affrontare una simile controversia (con Handsome Dick Manitoba, frontman della disciolta 70s punk-band Dictators, ndt), anche perché entrare in causa costa già una barca di soldi. La ristampa del catalogo col nuovo nome poi è una clausola fondamentale della transazione raggiunta con chi mi ha citato in giudizio per cessare ogni tipo di reclamo.
Oltre ai traguardi musicali hai raggiunto anche quello didattico di un dottorato in matematica. Come utilizzerai questa risorsa? Sarai un matematico full-time o qualcosa del genere un domani? O magari proseguirai i tuoi studi in qualche altro campo?
Tutt’altro. Voglio dire, ciò che mi esalta del mio prossimo futuro è il poter fare musica a tempo pieno, ma penso anche, un giorno, di poter fare marcia indietro e rituffarmi nel mondo accademico. Mio padre e le mie due sorelle sono tutti docenti, peraltro – tranne una di loro – in matematica, e la vita accademica non mi dispiace, ma ora per me è il tempo della musica, e sono felice di potervici dedicare tutto il mio tempo.
Hai accennato alle tue live performance prima. Vuoi approfondire il discorso? Non dev’esser facile portare sul palco tutta quella riuscita baraonda di suoni…
Il mio, o meglio nostro live show comporta l’utilizzo di due batteristi e di video sincronizzati alla musica, più tanti altri strumenti che ci passiamo durante lo show, che è quindi concepito per essere quanto più esplosivo possibile. Per questo, come ti dicevo, ci siamo esercitati molto negli ultimi mesi. E ora sono pronto per salire sul palco e spaccare le ossa a tutti.
Sempre parlando di live set, qual è la band con cui hai suonato che ti ha più impressionato?
Anche se non ci abbiamo suonato, direi i Lightning Bolt ultimamente. Sono assolutamente incredibili…
I tuoi album sono usciti tutti su Leaf. Può diventare una grossa etichetta, oltre che, come ora lo è già, molto rispettata?
Alla Leaf pubblicano musica che osa, e si fanno anche un mazzo così in promozione. Li rispetto massimamente per il fatto di non compromettersi per nulla al fine di vendere di più. Ed è bello lavorare con un’etichetta indipendente come la Leaf, perché a lavorarci – qui come in altre indies – sono innanzitutto dei fans musicali, che diventano ben presto amici oltre che semplici coleghi.
Ho letto sul tuo website (http://caribou.fm) che di recente hai realizzato il tuo primo remix di sempre (per i Free Design, psych-pop band degli anni 60-70 i cui dischi sono attualmente in ristampa su Light In The Attic, ndt). Ci parli di quest’altro aspetto della tua attività musicale? Pensi che il lavoro di rempix sia destinato a occupare più spazio nella tua carriera?
E’ stato solo il mio primo remix a nome Caribou in realtà. Prima ne ho fatti degli altri, non moltissimi però. Questo per i Free Design è stato speciale perché di questa band sono un grosso fan ed è stato grandioso reinterpretare il loro lavoro. Mi piace fare remix ma di solito preferisco lavorare su materiale mio. Non lo escludo, insomma: è solo e sempre una questione di tempo disponibile.

Autore: Roberto Villani
www.caribou.fm/site

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