Dopo il successo al Lido e la candidatura agli Oscar, l’auto-biografia del regista partenopeo approda nelle sale italiane. Dal 15 dicembre il film sarà disponibile sulla piattaforma Netflix di Michela Aprea
«‘A tiene ‘na cosa ‘a dicer? ‘A tiene ‘na cosa ‘a dicer?».
Il regista Antonio Capuano (interpretato da un dirompente Ciro Capano) è lì. Sullo sfondo, il mare. Fabietto Schisa (interpretato da Filippo Scotti), l’alter ego del regista Paolo Sorrentino, ha finalmente scoperto la sua vocazione, trovato il solco lungo il quale percorrere la sua vita. Ma è ancora anestetizzato da un dolore più forte di lui, da cui neanche adesso che è dietro l’obiettivo riesce a liberarsi.
Non ha potuto vedere, non gli è stato consentito di guardare per un’ultima volta chi ha amato tantissimo. E anche ora, che da dietro la macchina da presa è lui a decidere cosa vedere e cosa no, il suo sguardo continua ad essere velato, coperto da una guaina di dolore che si fa coltre, sotto il quale rintanarsi, incurvarsi, soccombere e «o’ conflitt’»è un qualcosa da rimandare ancora una volta.
Si è detto tanto de “ È stata la mano di Dio”, il film in cui Paolo Sorrentino racconta se stesso. Un grande omaggio a Napoli, si è scritto, che l’immenso cineasta, pluripremiato, osannato ad ogni latitudine, unico erede di Federico Fellini, ha deciso di concedersi dopo anni di successi.
E stavolta Sorrentino, decide di lasciarlo stare Fellini, pure se il celebre Maestro riminese se ne sta sempre là sullo sfondo, come un’ossessione, come una tara genetica, quella della passione per il cinema, passatagli da chi? dalla madre (con il suo scherzo su Zeffirelli), il padre (e il suo C’era una Volta in America) o dal fratello che, qui aspirava a diventarne una comparsa.
Stavolta Sorrentino saluta il grande cineasta romagnolo, manco quello fosse Cesare, chè ha un affare più grande da affrontare, una contesa che lo attende da troppo tempo e che ha a che fare con i suoi di fantasmi. Non ci sono più il successo scippato de “L’Uomo in più”, l’eroina e il disamore de “Le conseguenze dell’amore”; neanche il nazismo e la volontà di risarcimento delle sofferenze paterne di “This must be the place”. Non c’è il male del potere sacro o temporale, poco importa; nè ci sono i fantasmi della Città Eterna. Qui torna a casa Ulisse-Paolo, per i fare i conti con un se stesso, che, però, pare ancora sottrarsi al confronto.
Un se stesso che si ostina a difendersi dal mondo esterno, “la realtà è scadente” diranno inseguendo il mito dell’arrivo di Maradò, Fabietto e suo zio Alfredo (Renato Carpentieri). Un sé che resta un punto immobile mentre tutto intorno è fuga, è scatto, è incontro – “Sono solo” dirà il protagonista ancora più in là – ; dove il dolore quando c’è è tragedia, le donne sono muse, su un palco, irraggiungibili oppure accompagnate a ricchi petrolieri e pronte a prenderti in giro, proprio come piace alla madre, Marisa. che la vita se la prende con leggerezza, manco fosse un soffio, un fischio, ma non riesce a trasferire al figlio quest’eredità.
Lasciandolo solo, Fabio, con un walkman e l’illusione di potersi impermeabilizzare dal mondo esterno e credere che davvero “Napule è”. Come se davvero si potesse dire, definirla quella condizione esistenziale che è la città di Partenope e che Sorrentino affida proprio a quell’elemento che non è più, “o’ mar”, per raccontare la sua città.
Il mare è il grande sfondo sul quale il regista intreccia vicende personali e finzione, al mare lascia il racconto del grande dolore che non smette di accompagnarlo. Un mare che non bagna, quello di Sorrentino, che non riesce a sanare neanche nel ricordo, nell’omaggio alla grande bellezza, di una famiglia meravigliosamente unica, come tante.
Fatta di varia umanità, dolori, non detti, rancori. Di una madre (Teresa Saponangelo), nonostante tutto, gioiosa e sfidante, un padre (Toni Servillo) umanissimo ed eccentrico caposaldo, un fratello (Marlon Joubert) complice e riferimento, la sorella (Cristiana Dell’Anna), perennemente chiusa in un bagno, e zia Patrizia (Luisa Ranieri), bona, bella, guasta come la città in cui vive e che la costringe nelle quattro mura di un ricovero psichiatrico.
Poi ci sono i parenti, tutti, di straordinaria umanità e gli incontri di varia natura che una città- porto come quella in cui ha vissuto l’autore fino alla maturità non smette mai di regalare.
Tutto intorno la bellezza di Capri, Massa Lubrense, perfino di Stromboli, ma Napoli è ridotta al mare, come un grande inconscio in cui l’autore prova ad immergersi, restando però come un off shore, perennemente sul pelo dell’acqua: “tuff, tuff, tuff”.
E si è detto di Maradona, della sua mano di Dio, della passione di un giovane ragazzo per il primo grande divo del calcio. L’indio che gramscianamente ha investito “lo spettacolo più bello del mondo” del suo valore politico e culturale di rivalsa del secondo e terzo mondo contro i “superuomini” del mondo colonizzatore. Lo sport in cui è il pueblo unido, quello degli oppressi della terra, a non ser vencido, dall’arroganza della monarchia inglese, dell’imperativo dell’individuo di thacheriana matrice, della colonizzazione che non ha mai smesso di disporre e opprimere.
Fabietto tutto questo forse non lo sa. Forse neanche se lo chiede. È solo un ragazzo del Vomero, cresciuto al liceo classico, alle prese con la sua maturazione personale e con una famiglia presente, importante, fondante cordone al quale non smettere mai di tenersi saldi, nonostante tutto.
Nonostante il dolore indicibile, nonostante l’insondabile sempre alle porte, come un monaciello pronto a dare, chissà, ma anche a prendere, se gli va.
Come il confine tra il gusto della libertà e il lecito, il piacere e lo sconforto, l’arte e una “cagata” come direbbe il suo Capuano. E pur se non c’è un fotogramma da non ritenere per sempre nella memoria, la bellezza estetica di una città sirena, adagiata sul mare, incurante di tutto (pudicizia, giudizio, perversione, ossessione, violenza), presa solo da sè, dalla voglia di vivere e lasciarsi baciare dal sole. Pur se non c’è un carattere immemorabile, incluso il custode bislacco interpretato dal sempre magistrale Lino Musella (il cast è stellare a partire dal protagonista Filippo Scotti, passando per Renato Carpentieri, Toni Servillo, Luisa Ranieri, Teresa Saponangelo, Betti Pedruzzi, Massimiliano Gallo, solo per citarne alcuni).
Pur essendo già in odore di premio Oscar e avendo già conquistato a Venezia la coppa Mastroianni (Filippo Scotti) e il Gran Premio della Giuria, resta ancora lì Fabietto, alla domanda posta nello scenario struggente delle terme di Baia, quel “a tien na cosa a dicere?” da cui nessuna fuga riuscirà a salvarlo. Forse per Fabio-Paolo è arrivato il tempo di buttarlo quel walkman, tornare a casa e agirlo da qui (da Napoli) e fino in fondo il conflitto.
Dal 15 dicembre il film sarà disponibile sulla piattaforma Netflix.
È stata la mano di Dio
Data di uscita: 24 novembre 2021
Genere: Drammatico, Biografico
Regia: Paolo Sorrentino
Interpreti: Filippo Scotti, Toni Servillo, Teresa Saponangelo, Luisa Ranieri, Renato Carpentieri, Massimiliano Gallo, Betti Pedrazzi, Ciro Capano, Enzo Decaro, Carmen Pommella, Biagio Manna, Lino Musella, Marlon Joubert, Alfonso Perugini, Sofya Gershevich, Paolo Spezzaferri, Rossella Di Lucca, Antonio Speranza
Paese: Italia
Durata: 130 min
Distribuzione: Netflix
Sceneggiatura: Paolo Sorrentino
Fotografia: Daria D’Antonio
Montaggio: Cristiano Travaglioli
Produzione: The Apartment Pictures