‘Undici Pezzi Facili‘ è un disco importante, che si spera non passerà inosservato. Completamente strumentale, centrato sulla chitarre elettriche e acustiche di Paolo Spaccamonti, e sui beat al solito eleganti e avvolgenti di Daniele Brusaschetto, quest’album riesce a mantenersi in equilibrio tra sonorità geometriche e spontaneità prossima all’improvvisazione, tra algido ambient, avanguardia e post rock, ed un colore ispirato dal jazz moderno, e persino, lontanamente, da certa world music.
Molti i momenti cinematografici, tra gli 11 brani, il più evidente già dal titolo ‘Spy Movie‘, ma non solo, e difficile non mettere a confronto questo disco italiano, piemontese, con i lavori di Brian Eno, Robert Fripp, David Sylvian e soprattutto Michael Brook, anch’egli compositore e chitarrista sopraffino, esattamente come Spaccamonti immune da ogni autocompiacimento virtuoso solista, e completamente concentrato invece sul risultato d’insieme della propria musica.
‘Soli Tutti‘ è il brano che ci ha colpito maggiormente: un flusso elettrico e digitale che piano piano muta come la pelle di un rettile e inesorabilmente cresce e pretende attenzione, laddove alcuni altri brani possono correre invece il rischio di non essere ben seguiti, se ci si distrae, cosa per altro facile poichè il rischio è che questa musica venga classificata dall’orecchio come musica d’arredamento: grave errore! E dopo ‘Soli Tutti’ c’è ‘Lamento‘, con violoncello, chitarra e contrabasso, che disegna un bozzetto neoclassico su beat elettronici morbidissimi, e racchiude una sintesi quasi completa della musica di Paolo Spaccamonti.
In parte è vero quanto molta critica sta scrivendo di quest’album, e cioè che le buone idee possono essere sciupate nella forte uniformità sonora, e nell’essenzialità dei toni che spinge alla sonnolenza, ma sembra chiaro che la scelta formale dell’artista sia questa, e che dunque le difficoltà non risparmiate all’ascoltatore – a dispetto del titolo dell’album – quantomeno non siano certo un’incidente di percorso.
Indolenza, noia, sentimento, immagini ed un’etica dell’ordine e del disordine insieme, in un disco peraltro profondamente europeo, simile ad una panoramica del paesaggio interiore dei musicisti.
Autore: Fausto Turi