In occasione del Carpisa Neapolis Festival abbiamo avuto modo di fare quattro chiacchiere con i The Styles a proposito delle recente collaborazione con J-Ax del loro rapporto con la musica in rete e la scena indie. Il disco di esordio “You Love The Styles” è in uscita a fine Settembre per la Sony Bmg e arriva dopo una lunga serie di “flirts” con il mondo britannico (leggi Babyshambles, Infadels), annunciandosi come un energico concentrato di scazzatura inglese e melodie di facile presa.
Perché la scelta di cantare in italiano con J-Ax per il singolo “Più Stile”?
Guarda noi siamo inglesi per vocazione. Italiani solo temporaneamente perché abbiamo trovato l’unica persona con cui si può ragionare in italiano. L’unica persona con cui saremmo stati disposti a collaborare. Il destino ha voluto che J-Ax ci contattasse, il suo pubblico è ancora molto ancorato in italiano ma noi ci siamo occupati della parte musicale mentre lui del testo. “You Love The Styles” è interamente in inglese. La collaborazione con J-Ax è stata solo un episodio, volevamo fare una qualcosa con il sound un po’ inglese, abbiamo puntato su quello che si porta adesso, casse in quattro ma con i chitarroni.
L’evento che vi ha aperto la strada?
Mah, il successo non c’è ancora. Guarda, il punto di svolta è stato il Barcellona Burnout Contest, dove hanno partecipato mille band e alla fine abbiamo vinto noi superando inglesi tedeschi e francesi. Poi una serie di cose piombate un po’ perché ce le siamo cercate e un po’ per fortuna.
Perché non prendete un bassista in formazione?
È una proposta? Il basso c’è e quando suoniamo parte come una sequenze pre registrata. Poi non abbiamo ancora trovato quello giusto, e vogliamo mettere più elettronica negli show. Magari suonare con le cuffie, ma se troviamo una bassista figa la prendiamo subito.
Disco o singoli? Supporto fisico o rete?
Noi abbiamo fatto già uscire diverse canzoni in digitale ma ormai non ci crediamo molto. Perché siamo un paese indietro anche sul digitale, tanto per cambiare. Abbiamo provato con questa politica perché in america funzionava ma abbiamo visto che l’Italia non segue il trend. Dall’etichetta digitale Sony H2O stiamo passando alla classica Sony Bmg perché con il digitale non è andata certo malissimo, ma di sicuro non come si sperava.
Scrivete in inglese ma siete con una major: dove finisce la scena indie e inizia quella major?
Il grosso fraintendimento in Italia è considerare l’indie un genere musicale invece che la condizione di gruppi che non hanno una grossa etichetta alle spalle. In America se guardi il Letterman Show ti accorgi che il momento musicale lo fanno i Foo Fighters, band che da noi sarebbero considerate estremamente indie. Il rockettaro da noi è ancora quello con il chiodo e la birra: è questione di cultura rock che qui arriva distorta e slavata, e questo distorce anche il rapporto tra Indie e Major e la loro percezione.
Quanto vi è servito finora myspace?
Myspace è abbastanza veloce su una certa fascia di pubblico ma certamente non ci sentiamo un gruppo da myspace. Non so se il pubblico di myspace poi è lo stesso che viene ai concerti ma di certo quello che vediamo ai nostri concerti è molto più attivo.
Pensi che la situazione di stallo italiana possa cambiare a breve?
Non penso. Quando siamo partiti ci speravamo ma adesso ci siamo resi conto che qui in Italia non si può fare per bene un certo tipo di rock in inglese. Meglio fare cose per teenager in inglese, ma di certo non questo tipo di rock. Stare con la Sony ci farà di sicuro un gran bene, anche con il disco che uscirà a ottobre (completamente in inglese. La scena italiana al momento vede un buon numero di gruppi di valore ma anche tantissime band che dovrebbero fare altro: ci sono già troppe band in giro, che spesso intasano inutilmente la scena perché non hanno proprio nulla da dire.
Il miglior aneddoto su una band inglese con cui avete suonato?
Gli Infadels. Sono il miglior gruppo con cui abbiamo suonato. Abbiamo condiviso il palco a Treviso, noi avevamo tutta la strumentazione gialla, loro rosa: sembrava un gay pride!
Durante il concerto c’era un percussionista che picchiava sulle pelli come un dannato, per tutto il concerto. Aveva una forza sovraumana. Nel backstage l’ho abbracciato, era completamente bagnato, mi ha guardato e ha detto “questa è l’acqua santa del rock and roll”! Ci ha detto anche che siamo la miglior band di spalla che abbiano mai avuto.Autore: Stefano De Stefano
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