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Intervista: Gnut

di Redazione
16 Dicembre 2013
in Interviste
Tempo di lettura: 5 minuti
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E’ bello fotografare un artista in fase di evoluzione e Claudio Domestico, in arte Gnut, con il recente disco intitolato Il Rumore della Luce, lo è senz’altro. La sua musica, in 10 anni d’attività, ha compiuto una maturazione continua, pur muovendosi in tante direzioni diverse, imprevedibili, esplorando i generi ed approdando, almeno in questa fase, ad una forma esile, delicata, da maneggiare con cura e a cui dedicare attenzioni.
Intervistiamo il cantautore nei giorni in cui supera le selezioni da 270 a 60 per Sanremo Giovani 2013, e accede ai provini live – che si stanno svolgendo a Roma – con il brano “Dimmi cosa resta”.

Il disco Il Rumore della Luce è stato pubblicato ormai da quasi un anno, credo si possano tirare le somme: sei sodisfatto dell’accoglienza che ha ricevuto? C’è qualcosa che cambieresti, nell’album? Credi sia stato compreso in maniera adeguata? Pensi che abbia avuto gli sbocchi commerciali che meritava?
Sono molto contento di leggere negli occhi delle persone che cantano le mie canzoni ai concerti che queste hanno avuto un ruolo importante anche nella loro vita.
Non cambierei niente dell’album perché è un disco registrato in dieci giorni senza pensarci troppo e per togliermi dalle spalle quelle canzoni che raccontavano un periodo difficile. Una volta registrato il disco finalmente mi sono distaccato anche da tutto quello che raccontavano ed è stato un modo per guardare avanti dopo aver vissuto pienamente quei momenti.
Credo che sia stato interpretato in vari modi ma questo è il bello delle canzoni.
Degli sbocchi commerciali non saprei…non ci penso ne quando scrivo ne quando faccio i dischi quindi sarebbe stupido farlo dopo.
Oggi Gnut è fondamentalmente un tuo progetto solista, inoltre musicalmente c’è uno stacco piuttosto netto tra la precedente produzione e questa nuova: questione di suoni, di temi, di atmosfere; non ti sei mai posto il dubbio di seppellire quel nome, e presentarti come Claudio Domestico?
Mi auguro di cambiare ancora tanto e di scoprire ancora molti lati di me.
Il nome me lo sono trovato addosso in questi anni anche perché l’idea di essere “il cantante di quella band che si è sciolta” non mi piaceva, quindi ho preferito dare continuità ad un discorso che comunque ruotava da sempre intorno alle mie canzoni.
La nudità del tuo nuovo stile, abbinata ai temi introspettivi, ai chiaroscuri serali sfocati, all’attenzione letteraria ai dettagli, mi sembra che collochi la tua musica da un lato molto lontano dalla chiassosa e veloce realtà che c’è lì fuori, in strada, dall’altro però essa diventa un po’ un emblema di rivolta, una presa di distanza, una scelta di lentezza. Come la vedi tu questa cosa?
E’ una scelta consapevole non solo stilistica ma di vita.
Qualche anno fa ho deciso di lasciare il lavoro che avevo a Milano che mi serviva a pagarmi una casa e una macchina per andare a lavorare, un box per questa macchina…e avevo pochissimo tempo per suonare.
Poi ho deciso di lasciare tutto.
Credo che le città siano avvelenate e che ti risucchino in un vortice di stress e confusione.
Da qualche anno giro tanto per suonare e il tempo che ho in più preferisco passarlo con mio padre a Napoli, avrò pure meno soldi in tasca ma sicuramente sono molto meno stressato e la vita mi piace decisamente di più.
Quando vorrò fermarmi per mettere su famiglia me ne andrò in campagna ma adesso è ancora presto.
E poi c’è il brano intitolato proprio ‘Il Rumore della Luce’: un penoso richiamo alla realtà, quella degli ospedali, degli ammalati, dei parenti, degli infermieri, della speranza…

Si ho descritto una situazione che stavo vivendo.
In Italia come in tanti altri posti del mondo succedono cose vergognose nel mondo della sanità e questa cosa mi fa incazzare parecchio.
Non capisco con quale coraggio si possa fare business, parlare di soldi, di cliniche private e cazzate del genere quando ci sono in ballo famiglie distrutte dal dolore e persone che soffrono.
‘Credevo Male’ è un blues esile, sussurrato, che tuttavia ha fatto pienamente centro nell’immaginazione di tante persone, che facilmente vi si sono immedesimate; come è nato questo brano? E ‘Voci’, invece, che sembra sulla stessa lunghezza d’onda? Ho letto che l’hai scritta dopo una telefonata che ti ha fatto riflettere su come partire possa significare mettere a rischio la propria identità…
“Credevo male” è nata tanti anni fa ed è una di quelle canzoni che si scrivono quasi da sole, in dieci minuti avevo testo e melodia canticchiando sul giro di chitarra.
Quando racconti sinceramente quello che senti è normale trovare qualcuno che capisca di cosa parli, in fondo le nostre vite si somigliano e condividere la nostra percezione del mondo può solo avvicinarci.
“Voci” l’ho scritta a Milano dopo una telefonata di mia nonna che buonanima, si preoccupava del nipote emigrate.
Mi trovavo in una situazione nuova, con persone che conoscevo da poco e che usavano altri registri linguistici…sentire il telefono squillare e la sua voce urlare qualcosa in napoletano mi ha fatto tornare immediatamente a casa e mi ha fatto riflettere su quanto sia importate ascoltare ogni tanto il suono della voce di una persona che ami…proprio per non scordarti mai da dove vieni e quindi chi sei.
Parlaci un po’ della collaborazione con Piers Faccini, e delle affinità artistiche in generale con i musicisti che conosci, ed ammiri in questo momento. Che dischi stai ascoltando, in questo periodo?
In questo periodo alterno Roberto Murolo con Feist, Cesare Basile, 24 Grana, Skip James, Foja, Francesco Forni e Ilaria Graziano e i Marta sui Tubi…. sono i dischi che ho in macchina.
Le collaborazioni che ho avuto in questi anni sono nate tutte in modo molto naturale per stima artistica e personale.
Per me è stato bellissimo ma anche fisiologico lavorare con Piers che conosco ormai da 10 anni e con il quale ho una sintonia artistica particolare.
Poi mi sto divertendo molto a scrivere in napoletano con Dario Sansone dei Foja con il quale ho un progetto chiamato Tarall&Wine…una cosa partita per gioco ma che è diventata una sorpresa per la qualità delle canzoni che sono nate da questo incontro.
Poi ci sono gli “Arm on stage” un progetto con altri cantautori di Milano, l’esperienza con Pagani, Mattia Boschi, gli Afterhours, Stefano Piro, Francesco Di Bella, Awa Ly, Peppe Fontanella con il quale sto realizzando un disco per bambini ( i titoli sono di mio nipote di 5 anni), Edo De Angelis e tanti altri che mi sto scordando adesso e che spero non leggano questa intervista.
‘Il Dubbio’, è una canzone rimasta tanto tempo in un cassetto, invece… ti capitano spesso cose così?
Si mi capitano spesso e molte volte dal cassetto le canzoni non ci escono più.
Per “il dubbio” è stato diverso perché era un pezzo che volevo nel disco ma non avevo ancora trovato un arrangiamento ritmico che mi convincesse, menomale che c’ha pensato Piers.
L’anno scorso, al Rockalvi Festival di Calvizzano (Napoli) abbiamo rivisto la formazione d’un tempo nuovamente riunita, tra l’altro in forma scintillante; cosa significò quella sporadica riunione, a ridosso della pubblicazione di Il Rumore della Luce?
Avevo incontrato per caso qualche giorno prima il contrabbassista e il sassofonista del primo disco che sono rimasti dei grandi amici per me. Considerato lo spirito benefico del festival e il clima di festa del Rockalvi gli ho proposto di venire a suonare per passare una serata tutti insieme dopo tanto tempo.
E’ stato molto bello rivedere tutti e suonare insieme ma quel sound e quei pezzi fanno parte di un passato troppo distante per me quindi resterà un episodio.

Tante date dal vivo, dappertutto, compreso Parigi; e poi: Settembre 2012, Gnut dal vivo nel prestigioso cortile del Maschio Angioino, vetrina nobile di Napoli, la tua città. Tanta gente, molti ormai conoscevano i testi delle canzoni, le persone che dopo l’esibizione ti avvicinano per farsi una foto con te.
Sono cose che fanno molto piacere.
Le date a Parigi sono state come tutte le altre volte illuminanti e al Suo.Na è stato un piacere immenso trovarmi con amici che stimo e con i quali mi trovo a collaborare a Milano come Dell’Era e i Marta.
Ed è stato molto bello rivedere Paolo Benvegnù con il quale avevo diviso lo stesso palco, nello stesso posto nel 2008.
Poi giocavo in casa e il pubblico di Napoli resta il più bello del mondo!

Autore: Fausto Turi
www.gnut.it – www.facebook.com/gnutmusic

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