Lo confesso: ci sono rimasto male. Dopo aver apprezzato il recente “Flesh For Fantasy” (2002) mi sarei aspettato qualcosa di diverso, non dico sconvolgimenti -era improbabile vista la natura decisamente fun del progetto- solo un passo avanti nella direzione musicale intrapresa con il terzo album. Invece, niente. Questa volta l’ex quartetto tedesco -ora sono in cinque- ha toppato.
La base compositiva è sempre uno stoner abbastanza ruvido, ma le influenze che ce l’avevano fatto accostare timidamente a Kyuss e Black Sabbath (mea culpa, mea culpa) sono annacquate o in alcuni casi sopraffatte da venature pop-rock della peggiore specie. Dr. Don Rogers a tratti sembra Klaus Meine. Per non dire del coro di vocine in “Salamander” e nella titletrack. Avete capito bene: ci sono bambini che accompagnano l’incappellato sul ritornello. Con quale scopo, lo ignoro.
Una o due canzoni carucce le troviamo (“Almost Night Train” e “Matula” oltre all’intermezzo strumentale “Rivolta”) ma si resta in generale su livelli di songwriting mediobassi che nemmeno il discreto uso di un Hammond riesce ad elevare. Ad occhio e croce mi sembrano degli scarti del disco precedente -e non sarei meravigliato se fosse vero- aggiustati alla meno peggio e con l’unico risultato di suonare come la bruttissima copia dell’ultimo Queens of the Stone Age.
E nella breve intro un maestro di cerimonie si permette anche di sentenziare: “Never heard metal sound like that before”. Ma fateme ‘o piacere…
Autore: Antonio Mercurio