Terje Nordgarden si fece conoscere, in Italia, con una splendida performance ad Arezzowave 2003, in cui non passò inosservata la sua simpatia, la capacità di comunicare col pubblico – ad esempio spiegando i testi delle sue canzoni – e soprattutto la bella voce cristallina. Da lì in poi, una serie di esibizioni sui palchi di tutto il paese, e due album pieni di delicate canzoni folk e soul.
Incontriamo il cantautore norvegese a Napoli, in strada, fuori il Velvet, pochissimi minuti prima che si esibisca nell’ultima data italiana di questo tour 2006. Ne approfittiamo per porgergli qualche domanda su ‘A Brighter Kind of Blue’, suo secondo, nuovissimo disco.
Torni a Napoli dopo due anni, quando apristi per Songs with other Strangers. Ricordi quell’esibizione? Io ricordo che fosti molto applaudito, e ti esibisti sul palco con solo voce e chitarra.
Certo che la ricordo! Quella serata al Teatro Mediterraneo di Napoli è uno dei ricordi più belli che conservo dell’Italia…
Da poco è uscito il tuo secondo disco: ‘A Brighter Kind of Blue’, ancora per l’italiana Stoutmusic. Lo stai presentando in giro per l’Italia proprio con questi concerti autunnali. Ti va di parlarcene?
Beh, il nuovo disco contiene 10 canzoni in cui credo molto, che raccontano storie quasi sempre personali, e del resto le ho scritte in un arco di tempo importante della mia vita. Musicalmente ho cercato di calcare ancor di più sul suono della chitarra acustica, cercando dunque di evitare di ripetermi semplicemente rispetto al passato. La mia intenzione era che le canzoni si mostrassero per quello che sono, senza troppi arrangiamenti che le appesantissero, come forse era accaduto nel disco di 3 anni fa.
Arrangiamenti molto snelli, in effetti: pochi inserti di tromba, violino, banjo, organo, pianoforte…
Si. Le musiche le ho composte interamente a casa mia con la sola chitarra, poi assieme a Peder Oiseth [il trombettista di Nordgarden, che produce il disco assieme a lui, nda] abbiamo chiesto ad un nostro amico di Oslo di prestarci – di notte e nei fine settimana – il suo studio d’incisione professionale, e lì abbiamo provato, in circa 10 giorni missaggio compreso, ad arricchire i suoni con varie opzioni che potessero colorare i pezzi in maniera però non troppo invasiva. ‘A Brighter Kind of Blue’ è il risultato di questo lavoro…
Com’è andata la parte italiana di questa tournèe? Oggi al Velvet di Napoli è la conclusiva di 16 date in 3 settimane, vero?
E’ andata molto bene, sono contento perchè le canzoni sono piaciute e abbiamo avuto tanto pubblico. Però che fatica: è stata una prova intensa… la fila più lunga è stata di 10 date in 10 giorni. La gente poi qui vuol fermarsi a parlare, dopo i concerti, è difficile esser sempre professionali, rispettare gli orari, andare a letto presto, non fermarsi a bere una birra, far riposare la voce.
La voce, si. E’ sicuramente il tuo punto di forza, ma so che hai rischiato che si rovinasse, negli ultimi 2 anni.
La mia voce è cresciuta bene, durante queste ultime date italiane. E’ un grosso sollievo per me, perchè ho subito un intervento chirurgico, l’anno scorso: ho dovuto togliere una ciste alle corde vocali. Non riuscivo più a cantare come volevo, ed anche quando mi esibii qui a Napoli l’ultima volta, ero un po’ limitato.
Ora basta che mi riposo, e dormo a sufficienza, e non ho problemi. Il disco, del resto, l’ho inciso a Gennaio 2006, dopo l’intervento, ed è filato tutto liscio.
Qual’è il tuo rapporto con l’Italia, Terje? So che hai vissuto a Bologna e a Firenze per alcuni anni, prima di tornare in Norvegia. Infatti parli benissimo l’italiano ed hai persino una lieve inflessione fiorentina. I tuoi ricordi?
Ricordi ce ne sono tanti. Qualche rimpianto, ma neanche troppi. Ho viaggiato in lungo ed in largo per il Paese, ho conosciuto tante persone, e bada che i testi delle canzoni di questo disco sono anche una specie di diario dell’Italia, per me: almeno il 60% delle storie che racconto in ‘A Brighter Kind of Blue’ le ho vissute in Italia.
Ma davvero? Quali canzoni, ad esempio?
‘What would ol’Bob say’, ad esempio! Lì racconto di un viaggio che feci in treno da Bologna fino alla Sicilia. Avevo avuto una delusione d’amore, con una ragazza di Sorrento, e per non pensarci decisi di mollare tutto e andare a trovare degli amici giù al Sud, dove c’era un festival di musica hippie. Ma anche ‘Monday’, ad esempio, in cui parlo di come dal mio letto di Firenze vedevo il Mondo e la mia vita al risveglio, il lunedì mattina.
‘Monday’ ha un testo blues, intimista, malinconico…
Ahahah, devi sapere che in effetti io al Lunedì mattina non sono mai in gran forma, e in quel momento non ho una buona visione della vita!
Altra curiosità: la canzone ‘What would ol’Bob say’ fa riferimento, nel titolo, proprio a Bob Dylan?
Si. E’ un modo di dire: in America, molti folksinger che si ispirano a Dylan, se sono in difficoltà mentre scrivono le loro canzoni, pare domandino a se stessi: ‘come continuerebbe, qui, il vecchio Bob, al posto mio’? Mi è sempre sembrata una dimostrazione di fiducia totale nei confronti di un uomo, questo moodo di dire… Ma il titolo l’ho scelto perchè quella canzone mi ricordava molto certe cose di Dylan, mentre la scrivevo: la struttura strofa-strofa-strofa, per esempio. Un po’ come ‘Don’t Think Twice, it’s Alright’.
Quando ti vidi suonare dal vivo la prima volta, ricordo che facesti anche una cover, di Bob Dylan. Credo fosse…
Era sicuramente ‘I shall be Released’. [Terje inizia a canticchiarla, nda]: “They say ev’ry man needs protection/they say ev’ry man must fall…”.
Ad ogni modo, tornando a parlare delle belle esperienze fatte qui in Italia, beh: tra i ricordi più belli, oltre al concerto al Teatro Mediterraneo di Napoli del 21 Gennaio 2005 di cui dicevamo prima, c’è stata l’esibizione ad Arezzowave 2003, ed anche alcune serate al Big Mama di Roma, ma ci metto pure la serata di ieri al Cantina Sociale di Gennazano (Roma).
Questa tournèe è stata molto bella perchè abbiamo conosciuto gente splendida, ed anche dei grandi musicisti, come i Marta sui Tubi coi quali abbiamo diviso il palco a Livorno.
‘Blessed’ è una canzone che mi ha fatto pensare a certe cose folk e soul di Johnny Cash degli anni 50, sia per il tuo modo impostato di cantare, sia per quel modo molto rispettoso, d’altri tempi, che usi per parlare delle donne. Ascolti la vecchia musica folk americana? E cosa pensi di quella più recente, intimista, di Banhart ed Oldham?
Ascolto molta musica vecchia, e continuo ad andare sempre più indietro nel tempo.
Preferisco Johnny Cash al folk moderno. Oggi ascolto Lucio Battisti, Fabrizio de Andrè, Robeto Murolo. Cose radicali, fondamentali. Mi sembrano buoni punti di partenza, anche per comporre. Sorpreso?
Beh, no, ma… dunque non ascolti nulla, di più contemporaneo?
Mi piace molto Elliot Smith.
Consideri gli USA il naturale punto d’arrivo, per te e per la tua musica? Sogni di farti conoscere nel paese di Bob Dylan e Neil Young, o non hanno importanza, per te, questi discorsi?
[Qui Terje sembra fermarsi un attimo a riflettere, nda]. Guarda, non lo so. Sicuramente in passato avevo questo sogno, questa ambizione di arrivare in America. Ora non ci penso più, e credo che sia un Paese con tante contraddizioni. Non credo più che sia un paradiso. Tuttavia non ci sono mai stato. Certo, chissà quante opportunità che può offrire… ma sicuramente anche tante difficoltà, ed è già abbastanza difficile suonare in Norvegia ed in Italia… Io proseguo pian piano, coi piedi per terra. Conto molto sulla gente che mi circonda, con la struttura che lavora per promuovermi.
Come ti trovi con la fiorentina Stoutmusic, con cui hai pubblicato entrambi i tuoi dischi in Italia?
E’ un’etichetta piccola. Manca la spinta, mancano i soldi… Questo disco è uscito sinora in Norvegia per Blue Mood Records/Grappa, ed in Italia per Stoutmusic. Ora si parla anche dell’Olanda, per il futuro. Chissà.Autore: Fausto Turi
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