In una serata contraddistinta da un gelo del tutto degno di una notte est-europea, due gruppi capaci di riscaldare gli animi del centinaio di persone presenti, si sono avvicendati sul palchetto, debolmente illuminato da due fari spot gialli situati sui lati; dell’Iroko, il conosciutissimo locale di Salerno, situato in un caratteristico vicoletto di una delle numerose piazzette del capoluogo di provincia campano. L’unica pecca è stata l’acustica non propriamente perfetta della struttura che, nonostante la lunghe sessioni di soundcheck da parte sia del gruppo spalla che degli headliners, non è stato possibile migliorare più di tanto.
Alle 23:30 circa, salgono sul palco i Malaparte, il giovane gruppo salernitano offre un sound ricercato, compatto energico ed incalzante proponendo testi accessibili con giusta presa su un pubblico eterogeneo. Un vero e proprio spettacolo che riscalda i cuori di coloro che, attanagliati dal gelo sono alla ricerca di qualcosa di nuovo e non necessariamente di nicchia. All’una circa quattro individui vestiti in completo nero, gilè a righe scure, cravatta rossa e passamontagna a tre buchi, salgono sul palco. Niente di strano, il pubblico li conosce anche per questo: sono i Sick Tamburo. Il gruppo, nato da una costola dei Prozac+, di cui anche i non fan ricorderanno oltre alla bella cover di Boys don’t cry dei Cure presente nel terzo e quasi omonimo, album, anche i singoli Angelo e Acido Acida che li hanno portati alla ribalta sulla scena nazionale. Con un solo album alle spalle, i Sick Tamburo ricalcano molto le orme dei vecchi Prozac+. Ma una base elettronica ai limiti della trance e riff più duri e, quantomeno allo stesso livello ipnotici, li rendono comunque identificabili come una band a sé stante. Con il passaggio della storica bassista dei Prozac+ alla voce, inoltre, il distacco è definitivo, facendo dei Sick Tamburo un gruppo se non troppo innovativo, quantomeno interessante. Il loro sound sembra fatto apposta per il pogo, alternando momenti da cantare (e riposarsi) a momenti in cui bisogna solo mettersi a saltare. La loro presenza scenica è di tutto rispetto e va oltre i simpatici costumi, d’altronde si sta parlando comunque di professionisti che girano i palchi di tutta Italia e non solo da oltre dieci anni. Con movenze da robot dance, uno splendido rapporto con la folla (che non si riserva dal salire sul palco, abbracciare i componenti del gruppo, cantare insieme a loro), testi non troppo impegnativi almeno al primo ascolto ed una cura del particolare fuori dal comune, i Sick Tamburo hanno stregato i presenti che hanno smesso di muoversi solo allo spegnimento degli amplificatori. Qualche problema tecnico riguardante l’innesco dei microfoni in un paio di occasioni, non ha assolutamente influenzato la resa dello show, dando fama anche al fonico di nome Leo, la cui attenzione è stata più volte richiamata dal chitarrista.
I Sick Tamburo suonano per un’oretta abbondante proponendo undici tracce (da Prima che muoia, Dimentica, Parlami per sempre, Forse è l’amore, continuando con il loro bel singolo intitolato Il mio cane con tre zampe e terminando con Tocca 24/7 fino a Intossicata) e riproponendo altri quattro brani come bis.
Autore: A. Alfredo Capuano
www.myspace.com/sicktamburo