Una boccata d’ossigeno per il cinema italiano.
I ministri Passera (Sviluppo) e Ornaghi (Beni culturali) hanno presentato alcuni giorni fa l’atteso decreto salva-cinema. Un provvedimento si direbbe “patriottico”, sul modello francese, più o meno che mette a disposizione 200 milioni di investimenti.
“Investimenti” in senso lato: in pratica si “costringe” per legge la Rai, tv di Stato, ad acquistare opere cinematografiche “di espressione originale italiana” (cosiddetta “riserva d’investimento”).
Funziona così: viale Mazzini deve destinare il 3,6 di ricavi complessivi annui (canone più pubblicità) a produzione, finanziamento, acquisto e pre-acquisto di film fatti in Italia. La riserva d’investimento riguarda anche le altre emittenti tv, ma per il 3,5% dei ricavi.
Anche parte (minima) del palinsesto sarà vincolata ad accogliere prodotti audiovisivi italiani. Un decreto che favorirà, si spera, anche i produttori indipendenti, realtà sempre più numerosa e agguerrita nel Paese.
Soddisfatti gli autori e l’Anica, la sigla dei produttori cinematografici. “Un provvedimento di grande rilievo” ha detto Riccardo Tozzi, presidente dell’Anica. “Così si gettano le basi per dare stabilità e chiarezza ai rapporti tra televisione e cinema”. Rapporti, si dirà, non sempre idilliaci.
C’è d dire che se tv e Settima arte si tendono la mano, alla finestra c’è internet che, per sua natura scorpionesca, accordi non ne fa con nessuno.
autore: Alessandro Chetta