Tutto sommato se Roma fosse una figlia sarebbe una di quelle obbedienti. Che fanno un po’ di storie, occhei, ma che poi se le dici di fare una cosa la fa. Si era detto che era primavera. E nella primavera romana non esiste che si passa un giovedì sera a casa, soprattutto se al Circolo degli Artisti suonano i Crocodiles, il duo di rock psichedelico nuova generazione che – di questa generazione- cavalca il punto più alto della cresta dell’onda. E mai come nel loro caso questa definizione fu più calzante: Summer of Hate e Sleep forever , il loro due album usciti dalle scuderie della Fat Possum (Wavves, Best Coast, Black Keys…) sono pillole concentrate di California, spiagge, surfismi, vintage noise e Happy Days.
Il giardino del Circolo è il luogo ideale per inaugurare la primavera con un release party ufficiale di questo tipo: il grande successo del concerto dei Crocodiles segna la fine di una brutta paralisi che ha visto la capitale affogare sommersa da eventi, promoters, dj set nati e morti il tempo di un cocktail, nel tentativo di incamerare quanta più aria possibile nelle poche date di live show veramente valide, che questo inverno di crisi ha portato con sé.
Il successo di pubblico per la band di San Diego non ha affatto deluso le aspettative di chi aveva atteso tanto questo momento: Brandon Welcez e Charles Rowell sembrano essere nati su quello stesso palco, sono due bulli da spiaggia, gli occhiali da sole neri costantemente abbassati sugli occhi, i giubbini di pelle che fanno tanto aria da duro, ma fino a un certo punto, che qui a Roma, davvero, fa troppo caldo e allora un po’ si sputa sul palco, un po’ si spara con la mano puntata come una pistola, sul pubblico, per giocare a fare i cattivi.
I Crocodiles sono i cugini simpatici dei Black Rebel Motorcycle Club. Quelli che sono troppo rock uguale, però quell’aria seriosa proprio non ce la fanno a mantenerla, perché su quel palco si divertono davvero troppo. “Che cazzo me ne fotte”- dice Brandon in un italiano strascicato a metà tra il provocatorio e l’ubriaco, poi la noise psichedelia che avvolge tutto e tutti, ipnotizza, accarezza, prende a pugni il pubblico: da Sleep Forever in apertura si attraversano le tracce dell’ultimo album, ma è su Neon Jesus e I wanna Kill, poco prima della fine, che le prime file si lasciano andare al pubblico delirio di spinte, gomitate e gentili cazzotti fra amici. I coccodrilli non mancano poi di santificare la festa, con un omaggio ai re del punk americano, i Ramones, suonando una cover di Beat on the brat.
Non passano neanche due minuti dalla fine del concerto che già è diventato l’evento della stagione: nel giardino le persone si incontrano ancora ribollenti per quelle ultime note vibrate e distorte, “e ti ricordi poi quando…”, “e dopo quella canzone…”.
Ma i fedelissimi non hanno tempo per le chiacchiere nostalgiche. Ce ne sarà poi dopo, nell’hangover, per ricostruire i pezzi. Lo show prosegue con una festa privata targata Touch the Wood, per chi dall’underground è riuscito ad ottenere le coordinate.
Nel tratto che ci separa dal Circolo degli Artisti all’Elephunk sono in macchina con i Crocs, che non sembrano poi così pericolosi come vogliono far credere i loro occhiali scuri. “Ci conosciamo da una vita” -dice Brandon, quando gli chiedo com’è che lui e Charles si sono trovati a suonare insieme-“ ci siamo incontrati ad una di quelle manifestazioni anti-fasciste del liceo”. Per un attimo penso che le scuse per saltare la scuola sono le stesse in ogni parte del mondo. “Andavate a picchiare i fascisti?”gli chiedo. “Più che altro cercavamo di non farci picchiare”.
San Diego è una città con grandi problemi di immigrazione, mi spiegano, piena di razzismo contro tutti i messicani che varcano il confine clandestinamente cercando di scappare dalla miseria del loro paese. “Non è affatto come da voi, da noi ‘antifascista’ non ha che un collegamento lontano con l’idea di fascismo in sé. E’ qualcosa che ha a che fare con i basilari diritti umani e dalle nostre parti questi sono negati soprattutto agli immigrati.”
Parliamo di letteratura. Gli racconto di quanto io ami Ferlinghetti e i poeti di San Francisco. “Sei stata alla City lights?” mi dice Brandon, “e alla Shakespeare &co. di Parigi? Sono due antiche librerie gemelle…”.
Mi chiedo quanto altro nascondano, questi coccodrilli sotto i loro occhiali scuri.
Una volta entrati nel locale Brandon mi scrive sul cellulare il nome di un autore e il titolo di un libro: Richard Brautigan, Revenge of the Lawn. “Questo devi proprio leggerlo.” Mi dice. E poi si allontana alla consolle.
Messe da parte le chiacchiere intellettuali, spuntano di nuovo fuori i denti aguzzi. Da l’una alle cinque di mattina in un sottoscala retrò della rive gauche tiberina i coccodrilli si sono trasformati in dj, hanno divorato Velvet Underground, Beatles, Iggy Pop e troppe altre vacche sacre, li hanno fatti a brandelli e li hanno trasformati in musica. E scommetto che se non ci avessero tirati fuori verso le cinque, da quel locale, anche la statua sulla cima di Castel Sant’Angelo sarebbe scesa per ballare il rock and roll.
Autore: Olga Campofreda
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