Spruzzate jazz, vecchi grammofoni che friggono vinili stralucidi, America dei bassifondi anni 20, e poi blues, soul, folk, ragtime e una tecnica emozionale da lode, ovvero un baccanale contagioso di ricordi e di storie in bianco e nero. E’ questo il sentimento stilistico che i lombardi Veronica and the Red Wine Serenaders regalano ad un pubblico sempre più vasto che ama lasciarsi rapire da queste armonizzazioni sospese per sempre dall’indicizzazione anagrafica del tempo, un “raggruppamento” di hit che tra tradizione e pazzia creativa si presentano come in un carosello radiofonico del secolo scorso.
“The Mexican Dress” è il nuovo tredici tracce che la formazione imbastisce per una temporizzazione d’ascolto che trasporta e riporta sensazioni illimitate, un trainspotting musicale che suona vintage in un mondo boombastico senza lasciarsi sopraffare, anzi che quasi quasi colonizza le postazioni privilegiate delle mode con una caratterialità semplice e schietta come gli odori di torte al ribes che si spargevano nelle terre del mid-west o tra i quartieri urbani affittati all’emigrazione dai mille colori di pelle.
Dicevamo quattordici tracce che hanno tutte un moto proprio, alcune scritte di pugno da Veronica Sbergia e Max De Bernardi e altre traditional rivisitati, un mix perfetto per viaggiare all’indietro nel tempo come se si fosse a cavallo delle onde medie di una radio Admiral nel salotto buono di casa; a random nella list consigliamo tutto, ma se vogliamo puntare subito sui rubini scintillanti ecco il banjo sliddato di “Didn’t mean a thing”, l’atmosfera incontaminata e field di “Curse the day”, il ragtime nicotinico che balzella “Paul and Silas” o la simpatia cristallina e nigger che “Banana in your fruitbasket” trasmette a trentadue bianchissimi denti.
Veronica and the Red Wine Serenaders non smentiscono le aspettative, la loro è un’ arte sopraffine di fremiti “valvolari” che fanno costante palinsesto tra noi e la bellezza pura dei grandi numeri.
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autore: Max Sannella