La tournée dell’ultimo album dei Depeche Mode stavolta ha toccato l’Italia in pieno: Roma Milano e Bologna sono state le tappe estive, e proprio nel giorno del concerto di Bologna allo stadio dall’Ara il trio ha annunciato nuove date invernali nei palazzetti di Torino Milano e Bologna ancora.
Insomma, l’Italia è pronta per ricevere una bella overdose di Depeche, che mancavano dal tour di Delta Machine nel 2014.
In attesa delle nuove date, i fan però si sono goduti il concerto nell’habitat più naturale e consono per i Depeche, ovvero gli stadi. Anche al Dall’Ara Gahan, Gore e Fletcher hanno confermato che i Depeche Mode sono l’unica band elettro-pop capace di fare negli stadi veri e propri concerti rock, dove l’atmosfera delle canzoni cambia completamente e l’evento si trasforma in una vera e propria arena rockettara, anche grazie al pubblico, perché i fan dei Depeche sono proprio in tutto e per tutto dei veri rock-fan.
Lo hanno dimostrato una volta di più cantando il coro di Home a fine canzone per buoni tre minuti, “diretti” orchestralmente prima da Martin e poi da Dave, che con sguardo divertitissimo hanno lasciato sfogare il pubblico prima di eseguire la canzone successiva, per poi fare i complimenti al popolo dei fan che si sfogava da sotto al palco.
Insomma, ancora una volta un più che aspettato e scontato successo: e non importa che il nuovo disco non sia particolarmente dinamico e rockettaro, e non importa che non sia un capolavoro, e non importa che i Depeche non fanno più capolavori dai tempi di Playing the Angel del 2005 (ormai più di dieci anni).
Spirit è sicuramente una prova discreta per una band che certo non può sfornare più il meglio di se stessa (Dave è ormai un più che cinquantenne, idem Martin e Andrew) ma nella serata di Bologna peraltro il trio non ha scelto forse i pezzi migliori, a parte ovviamente i due singoli Where’s the Revolution e So Much Love, e Going Backwards, che anzi è stato il pezzo iniziale.
Diciamo che la scaletta non è stata la cosa migliore del concerto: dopo l’intro di Going Backwards e dopo So Much Love, i Depeche hanno sparato subito cartucce importanti come Barrel of a Gun, A Pain that I’m Used to e World in My Eyes e soprattutto In Your Room (sprecandola peraltro in una versione molto meno bella dell’originale), alternando appunto questi vecchi successi a Cover Me, Poison Heart del nuovo disco, che sono pezzi troppo lenti, e aggiungendoci Corrupt di Sounds of the Universe e Judas che certo non brillano per energia.
Possiamo dire che il concerto sembrava faticare a decollare di energia, ma è arrivata Home a cambiare tutto: una canzone stupenda che Gore non eseguiva nella versione originale da tempo, e il pubblico se ne è accorto e ha risposto come detto, in maniera meravigliosa.
Probabilmente gasati dalla risposta del pubblico, i Depeche hanno cominciato a darci dentro: Where’s the Revolution e soprattutto Wrong hanno catalizzato le energie della band e degli spettatori, per farle esplodere poi con Everything Counts e Stripped e Enjoy the Silence, che definire cavalli di battaglia è un eufemismo.
Si potrebbe dire addirittura che il concerto ha vissuto due parti: la prima, forse troppo lenta, e la seconda, dove non ci si è fermati più: ma eravamo già in odore di fine concerto, con Never Let Me Down a chiudere la prima parte.
Una splendida Strangelove acustica, cantata da Martin e accompagnata dal solo piano, ha introdotto il bis lungo, che ha visto praticamente tutte le grandi hit (meno Just can’t Get Enough, la grande assente del concerto), ovvero Walking in My Shoes, la cover bellissima di Heroes che è la vera chicca di questo tour, e una tiratissima e durissima e lunghissima I Feel You, dove la band tutta ha dato il massimo catalizzando ogni residua energia fino al grande, scontatissimo finale, con Personal Jesus.
Certo, si dirà, il concerto ha vissuto la sua parte migliore intorno ai vecchi pezzi, sempre quelli, che tutti ma proprio tutti conoscono e cantano: i pezzi di Violator soprattutto, e di Songs of Faith and Devotion e di Ultra più qualche hit degli anni ’80 come Stripped, Never Let me Down, Strangelove e Everything Counts.
Ma si sa che questi sono i Depeche oggi, una band certamente a fine carriera, ma ancora capace di stupire divertire e far saltare tutto uno stadio, soprattutto grazie al vero animale da palcoscenico che è Dave Gahan, per il quale gli anni sembrano passare solo fisicamente. Lui è sempre lì che si agita, balla, sculetta, grida, suda, non sta fermo un attimo, ed è come venti anni fa sul palco.
Gli si può perdonare perciò anche un concerto di soli 22 pezzi (troppo pochi, in effetti, per i trent’anni e più di carriera dei Depeche) perché Dave ancora dà tutto quello che ha sul palco, sempre supportato dalla tecnica sopraffina e dai cori di Martin e dalla supervisione di quell’Andrew Fletcher che si muove nell’ombra ma tesse tanti fili musicali importanti, oltre che da un gigantesco e immenso Christian Eigner alla batteria e Peter Gordeno ai sintetizzatori, cori.
La batteria live in particolare è quella che nei concerti cambia completamente struttura e resa delle canzoni dei Depeche, trasformando tutto quello che tocca in vera e propria energia rock: lo si è visto qui in I Feel You più di tutto, dove tra Dave e Christian si è giocato un gioco a chi tirava di più, che il pubblico ha gradito decisamente.
Insomma, non sono più i Depeche di una volta, ma lo spettacolo sarà ancora per molto tempo assicurato.
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autore: Francesco Postiglione
SCALETTA DEL TOUR
Going Backwards
So Much Love
Barrell Of A Gun
A Pain That I’m Used To
Corrupt
In Your Room
World In My Eyes
Cover Me
Judas
Home
Poison Heart
Where’s The Revolution
Wrong
Everything Counts
Stripped
Enjoy The Silence
Never Let Me Down
Strangelove
Walking In My Shoes
Heroes
I Feel You
Personal Jesus