17 Luglio 2008 – Arena Flegrea – Napoli
Massive Attack – Almamegretta – Paranza Vibes
La prima del Neapolis 2008 sembra fatta per conciliarsi armoniosamente alla memoria degli amanti della musica della città, nella volontà di ripartire dal passato prossimo per riconnettere un tessuto culturale ormai sfilacciato di una città che è l’ombra di se stessa.
Gli Almamegretta per l’occasione in reunion con Raiz, il gruppo che con un lavoro intelligente sulle radici partenopee e dei sud del mondo in generale ha solcato universi musicali inesplorati, ed i Massive Attack, organismo musicale totale, il gruppo che più di tutti nel panorama anglosassone ha solcato gli stessi sentieri sospesi tra memoria e materia, tra passato e contemporaneità. A scaldare la platea dell’Arena Flegrea, i Paranza Vibes: un dj e due mc salernitani, bravi a coinvolgere a suon di ragamuffin il pubblico che lentamente affolla le gradinate.
A seguire, gli Almamegretta, che a distanza di ormai dieci anni dagli ultimi fasti commerciali vanta ancora un seguito straordinario per quantità ed affetto. L’apertura è tutta dedicata ai brani dell’album-simbolo Sanacore, da “O’ Ciore chiù felice” a “Maje“, riproposti come cristallizzati nel tempo, con i suoni immutabili ad appagare la nostalgia dei fan. Tutto sembra un po’ autocelebrativo, ma l’atmosfera del concerto si ravviva via via, passando per i brani recenti della formazione (non certo memorabili) affidati alla voce del rapper di strada Lucariello e attraverso intelligenti commistioni tra passato e futuro, come quella che fa mutare la pelle ad un brano a dir poco profetico come “O’ Bbuono e o’ malamente“. La band riacquista lo smalto e la vitalità di un tempo definitivamente con i brani di Lingo, in cui i suoni dal sapore “glocale” imbastiti illo tempore dal sound-sistem partenopeo si percepiscono ancora oggi come freschi e perfettamente a fuoco. In particolare “Suonno” è ancora una scarica di adrenalina in grado di evocare realtà solo apparentemente diversissime tra loro come la cultura vocale partenopea, melodica e sinuosa e le aspre ritmicità della jungle.
La memoria, si sa, è un terreno accidentato, fatto di approssimazioni, e bene si coglie quest’aspetto pensando a questo set sospeso tra gioia e malinconia, per quello che non può tornare, per chi non c’era sul palco, come i fantastici basso e chitarra dei Transglobal Underground che hanno accompagnato gli Alma in live set sontuosi di un passato che non torna, e per chi non poteva comunque esserci, come quel DRaD che degli Alma era l’anima sonora. Che forse quella notte mancava.
La terza parte della serata è affidata allo spettacolo multimediale del collettivo di Bristol, che qui a Napoli aveva lasciato un ricordo eccellente per una grandissima esibizione di quattro anni addietro sempre all’Arena Flegrea. Il paragone con quel picco di qualità musicale ed intensità emotiva poteva dare vita a brucianti delusioni: così non è stato. Perché i Massive Attack sono una realtà vitale, attenta alla contemporaneità e pertanto sempre riflessiva sulle forme musicali. Praticamente un gruppo ancora vitale ed in continua ascesa, che suona sempre meglio. Il suono dei Massive Attack è contemporaneamente dolce e forte, ritmica ed ambientale, come nella versione di “Safe from harm” che dai ritmi Trip-Hop d’epoca sfocia in un post a là Mogwai di Ep+6; di una compattezza trascendentale, che può vantare scelte musicali e sonore di una ricercatezza maiuscola, come gli intrecci tra i due batteristi a creare un amalgama ritmico impeccabile, o i suoni di synth raffinati come dei tessuti tramati su diversi strati, o gli accorti interventi chitarristici di 3D, quest’ultimo sempre propenso ad esprimere la propria discendenza partenopea, e soprattutto la propria fede calcistica verso il Napoli da tempi non sospetti. Ancora da sottolineare i quattro performer vocali avvicendatisi sul palco, da Stephanie Dosen (osannata durante “Teardrop”, dimostrando di poter essere all’altezza del ruolo che fu dell’ex Cocteau Twins Elizabeth Fraser, che prestò la sua voce nell’incisione del pezzo), alle voci afro e reggae (l’inossidabile Horace Andy): un panopticon canoro degno di nota. Una particolare menzione, infine, deve andare all’allestimento scenico multimediale curato dai francesi H5, che da ormai diversi anni si occupano di visualizzare gli universi sonori del collettivo di Bristol. Un’istallazione illuminotecnica interattiva, un semicerchio di LED alle spalle dei performers a creare una scena mediale sospesa nel nulla, in cui pulsar, vettori, elementi testuali vengono utilizzati a dare forma al magma sonoro.
Il finale è la quadratura del cerchio: l’attesissima “Karmacoma” diventa, con la voce di Raiz, “The Napoli Trip”, la versione napoletana del capolavoro del Trip-hop.
23 luglio 2008 – Mostra d’Oltremare – Napoli
R.E.M. – Editors – These New Puritans
Il rischio di aspettare che le cose facciano il suo corso, guardando con timore al precipizio. Note lasciate libere che prendono quota. Canto di dolore, lamento, blues. In un angolo, rannicchiati, a contorcere le parole lanciandole via, verso il buio. Senza che il tempo possa incidere. Senza che il ricordo sfumi. Il concerto raggiunge l’altrove evocando un fantasma. “Let me in” si rivolge a Kurt Cobain. Recita versi e dolore. Torna alla mente la sacerdotessa Patti Smith, memorie perse negli archivi, un altro concerto di 5 anni fa, e le corde destinate a chiamare ancora, in cerchio. Le parole contano poco, il rito si stringe. Stipe e compagni chiudono il cerchio, in pochi minuti la musica si fa spirito. Piccole scatole a forma di cuore con dentro ricordi e gocce. Lo stato di sospensione si realizza appena prima dei bis, dopo un lungo giro di brani. Qualcuno dice che i Rem siano parte del grande romanzo americano: stasera arrivano cartoline scritte in versi, impressioni e fotografie sgranate. Da un finestrino, da un oblò, da un grigio autobus sperduto tra polvere e asfalto. Scaletta rock, formazione tre più due, pezzi fatti di semplice materia sonora. Suoni scremati senza fronzoli. Il furore si presenta con i brani più tirati di Accelerate, “Living well is the best revenge”, “Supernatural superserious”, “Hollow man”, “I’m gonna dj”. La cronistoria mette in fila pezzi da esposizione come l’immancabile “Losing my religion”, relegata nei bis, l’evocativa e surreale “Man on the moon”, la grinta di “Bad day”. Ma è giù negli squarci che scivolano le pietre, che il tempo conserva intatte. Come dimenticare l’obliquità dello stile di Stipe, le successioni di immagini che attraversano il tempo restituendo posizioni politiche e storie laterali? La memoria rimette in corso l’inconfondibile cadenza “Automatic”, dal notturno di “Drive” alla riflessione di “Find the river”. La chimica da guerra di “Orange crush” non ha niente a che vedere con la confezione pop del gruppo: il canzoniere infinito dei tre di Athens accosta da sempre cuore e viscere, plasmando messaggi e melodie. Riemerge “The one I love”, riecheggia “Fall on me”, scintilla “Electrolite”. Commenta “Ignoreland”. Non c’è spazio per il controverso Up, ed è un peccato. Niente passeggiate “Around the sun”, solo una intensa “Imitation of life” da Reveal. Il duro riff di “What’s the frequency, Kenneth?” ribadisce il concetto: ancora in piedi, presenti, necessari. “Monster” è il contatto che realizza il cerchio perfetto, come un discorso interrotto. “The great beyond” esemplifica lo sguardo altro della scrittura, un canale emotivo che s’intreccia alle visioni. Notte a colori, dove c’è da guardare, da osservare. Album fotografici in movimento sfilano come scenografia, mentre l’attitudine di Michael Stipe colma il palco. Quest’uomo ha una surreale eleganza. La scena lo vede prodursi in scatti e movenze, ferme pose che si sciolgono in distaccate performance. L’asta fa da lama e fioretto, estensione naturale del rocker. Armonica a bocca, voce, sguardi. Accenna passi da rockwalker. Scivolando come un uomo dei sogni. Manca il mare di quattro anni fa, della cornice industriale Italsider. L’introduzione paga scotto e giustamente fa da contorno: degli Editors, pronti a gommare sul basso picchiando con geometrica base, resta l’impressione dardeggiante, umbratile e figlia irrimediabilmente dei Joy Division, parenti dei quasi coetanei Interpol. Un lascito che continua a dare frutti, quello dell’indimenticato gruppo di Curtis. Ma le canzoni, come diceva qualcuno, sono importanti. E ci sono, stagliate sul telone nero che presenta il gruppo. “Munich” e “An end is a start” fanno da cavalli di battaglia nel fitto manto di braccia alzate pronte al vecchio adagio del teen spirit. Ancora manca la strada che rende indipendente e autorevole un giovane gruppo in ascesa. Le basi sfrigolano, potrebbero crescere in nuove e pure direzioni. Riguardo i These New Puritans, serve altro. Un vento leggero di novità ancora confuso tra pletore di “new sensation”. Da rivedere, da lasciar crescere in giro, lontano dalla terra d’Albione, liberi di cercarsi un ritaglio che non sia necessariamente sul frontespizio urlato di un magazine. Un piacevole pomeriggio in attesa del ritorno, pienamente centrato, dei Rem.
24 luglio 2008 – Mostra d’Oltremare – Napoli
Elio E Le Storie Tese – Bluvertigo – Baustelle
La giornata conclusiva del Festival, il 24 Luglio, è tutta per i musicisti italiani; il prezzo del biglietto è più economico di quelli delle giornate precedenti, così accorrono più numerosi giovani e giovanissimi, e si apre con l’esibizione, alle 19, dei Baustelle. Il gruppo di Francesco Bianconi era stato qui a Napoli soltanto 3 mesi e mezzo fa, alla Casa della Musica, dove aveva presentato il nuovo album ‘Amen’ in un clamoroso concerto da tutto esaurito; oggi l’impressione è che l’attesa sia leggermente inferiore, ma più probabilmente accade che molti ragazzi non s’aspettano che i Baustelle suonino così presto. Me li ricordo anche 2 anni fa, all’edizione 2006 del Neapolis, ancora inesplosi: eravamo meno di un centinaio di spettatori a seguirne l’esibizione, ma ora Mtv li ha lanciati per bene, ed il pubblico ne ha fatto dei beniamini. Apertura con ‘Intro’ alla tastiera, poi diritti al sodo con ‘Antropophagus’, canzone nuova, sugli immigrati dell’Est, su chi alla Stazione di Milano non ci va a prendere il treno, ma ci vive, ci dorme, ci mangia e sui muri ci piscia. Siamo un Paese che odia i suoi extracomunitari? Sono loro che tramano contro di noi? Non si sa, non si capisce, al telegiornale non si parla d’altro, ma i visi del giovane pubblico, stasera, sono veramente imperscrutabili. Vogliono ballare. L’amarezza che trasmettono i testi di Bianconi è davvero grande, sono canzoni che descrivono la nostra società ed in particolare l’universo giovanile, molto meglio di come fanno i tanti esperti televisivi che non capiscono nulla. Sono testi che non lasciano scampo, e mentre ‘Il Liberismo ha i Giorni Contati’ avverte della sconfitta storica, di un crollo fragoroso che si preannuncia, ma di cui pochi sembrano vedere le avvisaglie, ‘Colombo’ racconta che la fine qualche volta è anche una liberazione, e ‘Baudelaire’ che a “vivere per sempre, ci vuole coraggio”. Il medley ‘Gomma/La Canzone del Riformatorio’ dà un’accelerazione ritmica ed introduce le tante canzoni vecchie che saranno recuperate stasera, tra cui ‘La Canzone di Alain Delon’, ‘Il corvo Joe’, ‘Un Romantico a Milano’, mentre il nuovo album ‘Amen’ sarà ovviamente suonato per intero; ma già si comincia ad intravedere qualche segnale di cedimento. Certo, tra un po’ arriveranno gli acclamati mega singoli: ‘Charlie fa Surf’ e ‘La Guerra è Finita’, ma qualcosa non va, i Baustelle dal vivo non riescono ancora a rimediare alle debolezze che ben conosciamo, e che in studio invece correggono con scintillio pop. Grande entusiasmo del pubblico, che canta a squarciagola e balla – qualche simpatico sfottò tra i fan dei Baustelle e quelli dei Bluvertigo, quando Andy (Bluvertigo), fa la sua comparsa a lato del palco e per un attimo ruba la scena – ma il cantato di Bianconi è insufficiente, al microfono, e con la stanchezza, dopo i primi 20 minuti, le stecche non si contano. Cede oggi anche Rachele Bastreghi, l’unica che, con grazia ha l’abitudine di muoversi sul palco, dando un po’ di dinamismo scenico – in ‘Dark Room’ ad esempio, di cui ha composto le musiche – ma anche la sua voce non è in forma, schiacciata ad ogni modo dalla musica, che è rock sostenuto e finalmente più preciso che in passato, ma con un suono duro, persino troppo, cui contribuiscono addirittura quattro strumentisti ospiti; suono appiattito, come fosse il sottofondo di un karaoke.
Dopo i Baustelle, i tecnici smontano il palco, ma non lo allestiscono per il gruppo successivo: c’è imbarazzo tra gli organizzatori, poi viene comunicato che il leader dei Bluvertigo, Morgan, è in autostrada, ben lontano da Napoli, e che bisogna pazientare che arrivi. Con generosità ed umiltà, Elio e le Storie Tese – che avrebbero dovuto chiudere la serata – accettano di esibirsi con 2 ore d’anticipo, rinunciando al ruolo di headliner, dando una mano al Festival, venendo incontro al pubblico, e salvando in parte la faccia dei Bluvertigo. Come i Baustelle, anche gli Elii hanno suonato a Napoli di recente, al Teatro Acacia, e lo show, qui al Neapolis, è spettacolare. Il gruppo passa dal progressive al soul, al funk, fino alle atmosfere da orchestra jazz latina stile Weather Report, tutto con un suono rigoglioso, e senso dell’umorismo a palate; Elio poi, col suo abitino da ballerino sudamericano, è un mattatore: ne inventa in continuazione complici i 4 colleghi, la corista e l’anziano ballerino senza dignità, intrattenendo il pubblico con una serie di trovate cariche di ironia e gusto. Il tormentone, stasera, è che gli Elii sono un gruppo elegante, e sono qui per dimostrarlo: “Visto che eleganza? Però noi sappiamo che possiamo fare ancora meglio, è vero ragazzi?”. La band, che su disco può non piacere, dal vivo è imperdibile, una rivelazione; stasera esegue diversi suoi classici, da ‘Il Ballo del Pippero’ ad ‘Amico Uligano’ e ‘Mio Cugino’ dedicando molto spazio, com’è ovvio, alle canzoni del recente album ‘Studentessi’: tipo ‘Parco Sempione’, contro il disboscatore lombardo Roberto Formigoni, o ‘Plafone’ un pezzo progressive con Elio impegnato al flauto, e poi ‘Gargaroz’. La maggioranza del pubblico è qui per Baustelle e Bluvertigo, ma stasera non c’è storia: vincono Elio e le Storie Tese.
Finalmente, Morgan arriva a Napoli, scende dalla macchina e sale sul palco come i grandi divi, vestito di bianco, assieme ai suoi tre colleghi. “Grazie della pazienza e scusate”, dice.
“Ora, scommetto, che lo fischieranno”, penso. Invece, peggio: s’è fatto tardi – non tardissimo, è da mezz’ora passata la mezzanotte – ma una parte del pubblico è stanca, volta le spalle e se ne va via, la punizione peggiore, per una band che dopo la reunion ed il nuovo CD/DVD live ‘Mtv Storytellers’, e in attesa del disco nuovo annunciato per il 2009, ha bisogno di riallacciare i contatti con vecchio e nuovo pubblico, ma Morgan stasera se l’è proprio cercata. L’esibizione, ad ogni modo è pregevolissima, con Morgan ed Andy ovviamente più esposti, Sergio e Livio a fare il ritmo: la musica è un intruglio carico d’attitudine, e molto rock, di tastiere, synth, batteria, basso e sax, il cosidetto “electro” anni 80, ballabile ma pure indie, che il quartetto fu tra i primi a rilanciare a metà degli anni 90, arrivando troppo in anticipo sui tempi, e non avendo la pazienza di attenderne i frutti; si sciolsero dopo un’apparizione sanremese, anche a causa delle vendite non proprio esaltanti. Parlo coi ragazzi del pubblico, e scopro che qui a Napoli, in molti ricordano ancora la loro esibizione del 9 Settembre 1998 all’Arenile di Bagnoli. Rispetto ad allora, manca, stasera quel po’ di follia dadà che faceva dei loro concerti uno spettacolo imperdibile, e pure l’affiatamento non è certo quello di una volta – ma probabilmente è solo questione di rodaggio – mentre l’esperienza musicale c’è, e l’esibizione è ancor più ballabile di come ricordavo 10 anni fa. Le code electro-funk ed i repentini cambi di ritmo di alcuni pezzi sono infatti le cose migliori, con Morgan che sculetta, fa la spaccata in aria, improvvisa passi e smorfie e tiene il basso alle ginocchia come faceva una volta, così sfilano ‘Zero’, ‘La Crisi’, ‘Complicità’, ‘Sovrappensiero’ ‘Iodio’, ‘L’Eremita’ e nel finale le attese ‘Altre Forme di Vita’ e ‘L’Assenzio’. Gruppo ad ogni modo incompiuto, i Bluvertigo, destinato a rimanere un culto, non un fenomeno più grande, malgrado il potenziale ci sia e ci sia sempre stato; ma neanche questa reunion renderà giustizia al quartetto, secondo me, perché i quattro non sembrano crederci davvero. E misterioso rimane il personaggio di Morgan, certamente un bravo bassista, ormai un notevole tastierista ed un autore intelligente e mai banale, ma con una carriera solista leggerina, e che quest’anno ha almeno raggiunto un vasto successo televisivo con il reality X-Factor. Ha aperto il concerto con ‘Sono=Sono’, che negli anni 90 parlava profeticamente di sé: “Avrei potuto essere un famoso pianista, sarei potuto diventare un dj”. Ma la cosa migliore che abbia fatto nella sua carriera d’artista, gli piaccia o meno, rimangono i Bluvertigo.
Autore: Pasquale Napolitano / Alfonso Tramontano Guerritore / Fausto Turi
www.neapolis.it – www.massiveattack.co.uk – www.almamegretta.net – www.paranzavibes.com – www.remhq.com – www.editorsofficial.com – www.thesenewpuritans.com – www.baustelle.it – www.myspace.com/bluvertigo – www.elioelestorietese.it