Vasto Siren Festival 2015 // 24-25.07.2015
Partiamo dalla location.
Non è una cosa semplice, perché la qualità della programmazione artistica se messa a connubio con l’estetica di un posto fa tutto un altro effetto.
E il Siren vince a man bassa, costruendo un festival al centro del paese di Vasto, concentrato nelle viuzze e nelle piazze di fronte al mare, così diverso rispetto alla dispersione campestre di tanti festival a cui siamo da tempo abituati.
Ci sono le facce dei partecipanti, abbronzate e con qualche residuo di salsedine, non arrossate dall’alcool. Ci sono gli occhiali da sole e gli shorts, e
non solo perché è hip, ma perché la temperatura esterna e la rilassatezza del luogo consentono di indossarli a ogni ora del giorno.
Ci sono gli artisti che girano indisturbati per il centro, fan dei loro stessi colleghi (i Fabryka trepidanti per Clark e James Blake) o venditori filologici del loro stesso merchandising (Colapesce). Ci sono i vastesi, spettatori protagonisti e gente di carattere gentile e discreto, che seppur incuriositi dagli sciami di forestieri, continuano a vivere normalmente il loro borgo. C’è quasi quasi un quartier generale dei musicisti, il Vico degli Artisti, nato prima
ancora dell’amore per Vasto da parte di Mr mente-del-festival Louis Avrami from New Jersey. Infine, c’è persino un organizzatore costretto ad avvisare gli ambulanti con i camioncini di frutta ed elettrodomestici di spostarsi un po’ più in là, ché c’è il signor Iosonouncane che deve esibirsi.
Il set di Iosonouncane è concentratissimo e intenso, lui dice che si prepara alle performance come un pugile prima del combattimento e infatti assesta ogni pezzo di Die come un uppercut preciso e potente.
Le flessioni ritmiche sopra la consolle rallentano e accelerano battiti e modulano le linee sonore, il volume si alza e la melodia si complica e poi si frantuma come le onde del mare alle nostre spalle.
La voce emerge dal crash inalterata, canta in italiano ma potrebbe essere qualunque lingua, la voce e’ il tono alto della one-man orchestra messa in piedi con computer e synth soltanto nello spazio di un set.
Poi è la volta di Gazelle Twin al tramonto, i cappucci a mascherare le facce, la voce scorporata nei loop e i vocalizzi estremi a’ la Knife. Performance studiata e efficace, come una scena di un film post apocalittico – una diversissima Elizabeth nel backstage ci dirà della sua passione per il medium cinematografico e le atmosfere create dalla colonne sonore.
Sun Kil Moon, spesso definito dalla stampa “an ass who makes quite brilliant music” crea una esibizione emozionante che tocca il suo apice nell’interpretazione di “The Weeping Song” di Nick Cave & The Bad Seeds, dedicata proprio al figlio di Cave recentemente scomparso.
Ritorno all’Italia con i Verdena, accolti dal coro da stadio che non t’aspetti, la piazza piena per un set che ripercorre back and forward la loro storia, di cui il concerto e’ una celebrazione condivisa col pubblico.
Clark e’ una navicella aliena planata nel buio della notte di Vasto, a illuminare il cortile del castello, il Palazzo d’Avalos. Giochi di luci e basi elettroniche nervose eseguite senza un’esitazione. Una performance compatta e estremamente ben ricevuta – le prime scene di delirium tremens danzereccio e crollo da stanchezza nei festivalieri le vediamo qui – e la preparazione più adatta al set finale di Jon Hopkins.
Hopkins che arriva con due ore di ritardo e cancella come niente fosse ogni traccia di calo energetico, portando l’esibizione a livelli altissimi già dai primi pezzi e rivelando subito la perfezione di Immunity, che si riversa in ondate crescenti sulla piazza stipata di gente. Pochi pezzi di Insides e qualche gemma di Insides Versions, tutte da brivido. Il set minimalista giunge alla chiusura generando un boato.
Vodka Red Bull per riprendere le forze? No grazie, a Vasto si va di arrosticini e birra artigianale.
Ci dedichiamo un tuffo nella costa dei trabocchi in preparazione del giorno 2.
Giorno in cui le onde ci spingono lentamente sul versante songwriting. Voci calde e atmosfere intime, il grande atteso, il più atteso, non si può negarlo, è l’enfant prodige James Blake, che si esibirà a mezzanotte, nel palco che dà le spalle al mare. A riscaldare i motori ce n’è comunque per tutti i gusti.
Prime le Pins che irrompono nella quiete abruzzese con toni punk divertiti, da ragazzacce di periferia che strizzano l’occhio alle riot
girls – si diranno orgogliose della loro apertura al concerto delle Sleater Kinney, quasi a suggerirne modello e venerazione.
Colapesce, baluardo del nuovo cantautorato italiano, è il nome nostrano più forte della serata e viene accolto con grande calore.
Moniker che richiama le leggende dei pescatori siciliani e canzone retrò, raffinata e malinconica, come si conviene all’erede dichiarato
di Battiato e Dalla (Le Monde dixit).
C’è sempre spazio, fra nuovi nomi e recenti consacrazioni, per la band di culto, anche se in questo caso si tratta di un culto segreto, quasi misterico, per lo meno in Italia: parliamo di The Pastels e della loro prima apparizione in terra italica. La band scozzese che aprì le danze dell’indie pop ispirando fior fior di musicisti, regala a Vasto un concerto che è una chicca molto attesa per veri appassionati.
Nel Cortile d’Avalos, spledido giardino e forse location più raccolta del festival, Scott Matthew, “the kind australian songwriter”, si esibisce dando una bellissima prova di musica di alto tasso emotivo, capace di smuovere anche i più cinici: il suo ultimo album, This here defeat, a cui dedica gran parte del concerto, parla di una storia d’amore finita e tutti ci stringiamo attorno a lui, che ha imbracciato una chitarra per farci sentire meno soli e patetici. Il pubblico italiano è sempre molto caloroso con me- dirà subito dopo il concerto-e non si può dargli torto.
“There’s a limit to your love?” si chiede James Blake in uno dei suoi pezzi più celebri, e a giudicare dall’accoglienza del pubblico di Vasto, dall’attesa religiosa del pubblico sotto palco, l’aria ferma, il silenzio irreale, si direbbe che i suoi fan non ne abbiano affatto.
Braccato letteralmente per foto e autografi, a cui in verità si concede spontaneamente, facendo capolino alle transenne prima di esibirsi, con fare un po’ piacione un po’ acqua e sapone. La vera star di Vasto è lui. La fedeltà del pubblico è stata indubbiamente premiata: James regala un’esibizione impeccabile, che scorre da Overgrown fino a un omaggio a Joni Mitchell, esecuzione bellissima anche per merito dei suoi musicisti, artefici di bassi vibranti che fanno al pari con l’ intensità al massimo livello della voce del cantante.
Dopo Blake, tutte volge al termine, ma è un arrivederci che ha il sapore della festa sulla spiaggia, perché nel gran finale il dj set sulla spiaggia di Lory D, avamposto della techno romana, unisce tutti, pubblico, operatori e persino il batterista di Blake, scatenato con cocktail in mano.
Arrivederci all’anno prossimo, stessa spiaggia, stesso mare, o forse no? Noi speriamo che le esperienze di respiro internazionale e
perfetta sinergia tra amore per la musica, potenziale turistico a ricezione nelle amministrazioni locali realizzate a Vasto si moltiplichino sul territorio nazionale.
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autori: strawboscopic.com