Gone Is the Day e’ il titolo del secondo album dei Kodaclips, in uscita il 6 Settembre 2024 dalla Sister 9 di Manchester (Kill Your Boyfriend, JuJu, One Unique Signal), in collaborazione con la Black Marmalade di Pesaro. Il sound è di base shoegaze, con influenze ed eredità di band che hanno fatto la storia del genere come Ride, Slowdive, Slint, e in parte con influenze post rock, senza disdegnare accenti post-punk, con una chitarra densa di riverberi e distorsioni (anche qui, spunta altra influenza, quella degli Explosions in the Sky), e con un basso ipnotico che fa non solo da martello ritmico ma anche da disegnatore di melodie.
La notizia qui è che stiamo parlando di una band italianissima, nata a Cesena da poco, nella seconda metà del 2021, intorno a Lorenzo Ricci alla chitarra, Sonny Sbrighi al basso, Alessandro Mazzoni alla voce e Francesco Casadei Lelli alla batteria. Fortemente influenzati dalla seconda ondata di shoegaze, i Kodaclips si sono fatti conoscere dal palco alla fine del 2021, e da allora sono state tantissime le date in Italia, comprese le aperture per le band che sono loro diretta ispirazione come A Place to Bury Strangers e appunto Slowdive (di recente in tour proprio in Romagna).
Dopo l’esordio con Gances nel settembre 2022 presso la Overdub Recordings, ora i Kodaclips lanciano il nuovo disco, autoprodotto e mixato e masterizzato a Londra da James Aparicio. E per promuoverlo hanno un tour in cui, altra novità, le date sono soprattutto nell’area britannica, con il 12 settembre a Londra al Dream Bags Jaguar Shoes, il 13 a Sheffield al The Dorothy Pax, il 14 Leeds al Northern Guitars, il 15 a Coventry presso Sink or Swim Promotions, e poi ancora il 16 a Beaumont in Belgio, il 18 a Parigi e poi il 19 a Ainay-le-Chateau. In Italia, per ora, solo Domodossola, e in Svizzera a Chiasso e Ginevra.
Dunque una band italiana ma con chiaro riferimento alla scena alternative nord-europea, e che sceglie all’interno del genere rock, già di nicchia in pratica nel nostro paese, un sotto genere ancor più di nicchia, benché band già ben nota alle riviste specifiche di settore come Shoegaze Blog, The Pentatonic, Post-Punk.com e Area Rock. Una vera rarità che non può che destare curiosità e interesse negli ascoltatori.
E Gone is the Day non delude queste aspettative: salvo forse qualche margine di miglioramento in termini di registrazione, e post-produzione, e cura degli volumi e effetti sonori intorno alla voce, il disco è certamente un chiaro vessillo di stampo Shoegaze. Colpisce della band anzitutto la solidità dell’impianto ritmico-melodico: la chitarra, quando passa alla distorsione, si impone e padroneggia, così come incanta invece quando disegna i suoi riff introduttivi riberberati, come in Glaze Over e Viola (riff introduttivi e atmosfere complessive, specie nelle strofe, in stile post-punk quando non addirittura evocanti i Nirvana). Viola in particolare è già un perfetto condensato del disco e di quello che la band vuole lasciare all’ascoltatore, insomma un pezzo pieno di personalità.
Il basso, come detto, sorretto da una batteria dinamica e pulita, fa un lavoro enorme in alcuni pezzi quali Deadlock, tra i più “puramente” shoegaze del disco, e la title track Gone is the Day, dedicata alla natura evanescente dello scorrere del tempo, e dal sound forse più spiccatamente early eighties, quasi dark. La voce di Alessandro, nel mentre, sembra accompagnare in forma evocativa, (piuttosto che imporsi), quasi come un Caronte, l’ascoltatore nelle atmosfere più profonde disegnate dall’esplodere della distorsione della chitarra, evento sonico che in genere, come tipico del genere, “spezza” il pezzo e apre a nuove sonorità esplosive.
Failure è sin qui l’unico pezzo che inizia in maniera soffusa e lenta: ma è solo un momento, perché ci regala poi un crescendo emozionante, ancora una volta sorretto energicamente e perfettamente dal basso e da una batteria impeccabile anche senza strafare. Unico difetto di questo pezzo è il suo essere troppo breve, perché insieme a Viola, si impone subito come uno dei pezzi migliori del disco al primo ascolto. Fall Apart, decisamente punk, con una chitarra più arrabbiata del solito, è una track dal riff introduttivo apparentemente solare, e vede come protagonista la batteria, per una dinamica ritmica piuttosto accelerata che vuole introdurre l’idea del collasso e dell’isolamento.
Sulla stessa scia Number 87, esplicitamente grunge nel finale, dove di nuovo la batteria è protagonista, mentre la voce sceglie tonalità fin qui insolite, più baritonali, fino a sperimentare anche la distorsione a tratti.
Interlude e Surface sono intermezzi, (più sperimentale il secondo fra i due), mentre la conclusione del disco è affidata a Sleep, Doom, Shelter, che ritorna ad atmosfere dark, in particolare nella scelta del momento conclusivo, un crescendo intensissimo con uno sfondo di note acutissime che lo colorano efficacemente.
Un coacervo di citazioni di sottogeneri, in sostanza, rende i pezzi di questo disco un vero caleidoscopio, ma non lo trasforma in una accozzaglia confusa. Al contrario, c’è un’impronta precisa, e soprattutto molto personale, marcata, rispetto alla quale è certamente ingeneroso usare etichette come quelle da noi usate, che servono per descrivere ma in questo caso non devono far pensare a una mera ripetizione di stilemi. Al contrario, proprio la fusione delle influenze in un mix originale ti fa dire che stai ascoltando qualcosa di (relativamente) nuovo, e sicuramente affascinante, senza dubbio molto curato nei dettagli. Ci sono margini di crescita (siamo ancora al solo secondo disco) come è giusto che sia, ma la struttura complessiva del sound della band non è soltanto precisamente definita, ma anche molto chiara ai quattro nelle loro intenzionalità.
Non resta che esplorarli nei live e tenere d’occhio questa giovane band così promettente nel prossimo futuro. Il rock italiano ne ha bisogno.
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