Sospese tra onde rock e puro pop italiano le 12 canzoni di questo cd, che segna il primo vero esordio dei Matmata dal loro incontro, avvenuto nell’ormai lontano 1994. Atmosfere decisamente aggressive si susseguono, intervallate da melodie più riflessive ed il tutto è sorretto da un’ottima produzione, definita nei minimi particolari per adattarsi e valorizzare i singoli momenti dell’album. Studiare i trend degli ultimi anni ha dato i suoi frutti e ha donato a questo lavoro il tocco di internazionalità che viene spesso negato a molte produzioni italiane, anche se la prerogativa nostrana per antonomasia è stata rispettata ed infatti la squillante voce di Gianmario Ragazzi risulta a volte troppo fuori rispetto al tappeto strumentale, tradendo a tratti linee vocali si valide ma a volte eccessivamente sofferte. Interessante e di sicuro impatto invece sarebbe trasformare in veri e propri cantati gli accenni urlati che qui si ritrovano a sprazzi, senza aver paura di amalgamare la voce agli altri strumenti. In ogni caso questa sembra essere l’unica pecca del cd che non ne pregiudica l’ascolto.
Bello il pezzo d’apertura “Forse è Meglio” che, estremamente orecchiabile, mette in luce una vicinanza ai Placebo dell’ultima ora e ci presenta il batterista di questo trio bresciano Nicola Saini che regnerà per tutti i successivi 48 minuti e 49 secondi abilmente e meritatamente senza mai strafare, seguito a ruota dal basso di Marco Ravelli. Assolutamente degna di nota la traccia n.3 “A confronto” sorretta da un unico incisivo riff che ne crea la melodia portante e che sfiora sonorità new metal, a testimonianza del fatto che quando vogliamo gli americani sappiamo farli anche noi; la traccia n.7 “Un Posto Migliore” malinconica sin dall’arpeggio iniziale, ordina l’accostamento in questo caso niente meno che ai Radiohead.
Mentre curioso è il n.4 “Un Circo” che sembra preso da uno degli albums dei Quintorigo, insomma ben fatto ma già sentito proprio a casa nostra. Le altre composizioni sono più difficili da apprezzare, non arrivano subito, perché il gruppo si perde il preamboli superflui che creano una esagerata demarcazione tra le parti di uno stesso pezzo come avviene ad esempio per la n.2 “Sa il mio nome” di cui è sinceramente insopportabile l’arrangiamento della strofa, soprattutto a causa di un pianofortino che ha più a che fare con certe atmosfere metal e che risultano stonate in questo cd. Così pure la n.5 “12 Ottobre 1996” che parte con suoni Korniani per poi scadere in un ritornello poco curato e soprattutto senza continuità con il giro che lo precede. Apprezzabile il fatto che pur cantando in italiano i Matmata non si sentano autorizzati a comunicarci i soliti “cuore, sole e amore” mantenendo un minimalismo che mira più a voler raccontare delle sensazioni piuttosto che fare una cronaca palese delle esperienze vissute.
Autore: Renata De Luca